Il ruolo dell’educatore e la logofobia nelle professioni educative

Il ruolo dell’educatore e la logofobia nelle professioni educative

Ho avuto il piacere di partecipare a un incontro con la pedagogista Irene Auletta, formatrice nei servizi socioeducativi e consulente pedagogica impegnata in progetti di formazione, supervisione e sostegno ai ruoli genitoriali. Durante l’incontro, è stato affrontato il tema del ruolo delle educatrici e degli educatori, spesso ancora oggi oggetto di dibattito. Sono emerse riflessioni significative riguardo la mancanza di riconoscimento professionale e le sue conseguenze, inclusa l’influenza sul linguaggio utilizzato dagli stessi educatori.

Auletta ha sottolineato come ci sia una resistenza diffusa nell’utilizzare parole come “insegnare” o “educare”, fenomeno che pare ricordare la “logofobia”, ovvero la paura di usare determinati termini. Questa logofobia si inserisce in un contesto in cui il mondo educativo è pervaso da luoghi comuni e semplificazioni eccessive.

Auletta ha posto l’attenzione sul fatto che, sebbene gli educatori siano dei professionisti, spesso esitano a definirsi tali. Questo accade anche a causa di una mancanza di riconoscimento ufficiale della loro professionalità, che li porta a essere riluttanti nell’usare termini come “insegnare” per descrivere ciò che fanno. Tuttavia, secondo Auletta, è fondamentale riappropriarsi del valore delle parole. L’educazione non dovrebbe limitarsi a essere vista come un mero accompagnamento, ma piuttosto come un processo attivo di insegnamento e crescita reciproca.

La responsabilità dell’educatore

Uno dei punti centrali del discorso di Auletta è stata la necessità per gli educatori di assumersi pienamente la responsabilità del loro ruolo. Non è sufficiente lamentarsi delle condizioni lavorative: occorre riflettere su cosa significa essere un professionista dell’educazione. Per Auletta, l’educatore è colui che non solo accompagna, ma educa e insegna, contribuendo in maniera attiva alla crescita delle persone con cui lavora.

Inoltre, Auletta ha messo in guardia contro l’impoverimento del linguaggio professionale. Spesso, per rendere il discorso più accessibile, si tende a semplificare eccessivamente, finendo per perdere il vero significato delle parole e la complessità del lavoro educativo. In questo senso, la vera competenza dell’educatore risiede nella capacità di utilizzare un linguaggio preciso e scientificamente fondato quando si comunica con altri professionisti, e uno più semplice e accessibile quando ci si rivolge a persone comuni.

La logofobia e il recupero del linguaggio educativo

Un tema interessante emerso durante l’incontro è stato quello della logofobia, ovvero la paura di usare determinati termini nel campo dell’educazione. Auletta ha spiegato come questa paura non sia solo una questione terminologica, ma rifletta un problema più profondo legato all’identità professionale degli educatori. Se gli educatori esitano a definire il loro lavoro come “insegnamento”, questo porta inevitabilmente a una confusione su cosa significhi davvero educare.

Nel contesto educativo, “insegnare” è una parte essenziale del processo. Come riportato anche dalla Treccani, educare implica necessariamente una forma di insegnamento. Auletta ha quindi invitato gli educatori a superare la paura di

usare questa parola e ad appropriarsi del loro ruolo: “Noi insegniamo“, ha detto, “e non dobbiamo avere pudore a dirlo”.

Il contributo di Giorgio Prada e Ferrante

Durante l’incontro è stato citato Giorgio Prada, autore del saggio Chi ti ha insegnato l’educazione? (2012), che ha analizzato il ruolo dei genitori nella trasmissione dei valori educativi. Prada ha sostenuto che i genitori sono i primi modelli educativi per i figli, ma che spesso non si rendono conto di quale tipo di educazione stiano effettivamente trasmettendo. La consapevolezza da parte dei genitori è cruciale affinché possano offrire ai figli un percorso di crescita equilibrato e positivo. Questa riflessione è stata poi ripresa da Ferrante nel 2017 con il suo lavoro Ma chi ti ha insegnato l’educazione?, in cui ha analizzato le difficoltà educative che emergono dalle generazioni contemporanee, evidenziando come i genitori di oggi abbiano a che fare con un profondo disagio nell’assumere ruoli educativi stabili. Ferrante sottolinea come questo disagio tra le generazioni abbia influito negativamente sulla capacità dei giovani di trovare punti di riferimento educativi solidi, contribuendo alla perdita di fiducia sia negli adulti che in sé stessi.

La riflessione pedagogica

Durante l’incontro sono stati citati vari pedagogisti e filosofi che hanno offerto contributi importanti al dibattito. Tra questi, Luigina Mortari, filosofa e pedagogista, ha affrontato il tema della gratitudine e della cura educativa, sostenendo che la relazione educativa deve essere autentica, creando le condizioni affinché l’altro possa esprimere il meglio di sé.

Cristina Palmieri, esperta di pedagogia della cura, riprende la distinzione di Heidegger tra “cura autentica” e “cura inautentica”, quest’ultima associata a quegli stereotipi che riducono l’educazione a un insieme di regole rigide da seguire. Al contrario, l’educazione dovrebbe mirare a creare spazi di libertà per permettere agli individui di sviluppare il proprio potenziale.

Il contributo di Daniele Novara*

Infine, il pedagogista Daniele Novara ha aggiunto un importante contributo sulla necessità di riconoscere i segni educativi che i bambini portano con sé. Prima di proporre nuovi modelli educativi, è fondamentale capire quali esperienze e valori il bambino ha già assimilato, sia a livello individuale che familiare. In questo modo, l’educatore può costruire un percorso di crescita che tenga conto del contesto e delle risorse già esistenti.

Il mito della continuità

A conclusione dell’incontro, Irene Auletta ha affrontato il tema del cosiddetto “mito della continuità”. Spesso si tende a credere che il contesto familiare possa essere il principale fattore a influenzare in modo negativo il percorso educativo, compromettendo gli sforzi degli educatori. Tuttavia, Auletta ha sottolineato come questa sia una semplificazione ingiustificata: “Il mito della continuità è un mito appunto, pensare che la famiglia possa distruggere il compito educativo e mettere in difficoltà non è vero”.

L’educazione è un processo complesso che coinvolge molteplici attori e contesti, tra cui scuola, famiglia e altre istituzioni sociali. Ogni esperienza educativa, se ben strutturata, contribuisce a creare un percorso di crescita. In questo senso, la responsabilità dell’educatore non si limita a correggere o

compensare eventuali mancanze della famiglia, ma a creare le condizioni affinché l’individuo possa sviluppare il proprio potenziale a prescindere dai vincoli familiari. È quindi essenziale superare l’idea che l’educazione dipenda esclusivamente dall’ambiente familiare e riconoscere il valore delle competenze professionali degli educatori, che si inseriscono come attori cruciali nella crescita di ogni individuo.

*Di Novara si può citare la sua definizione di copione educativo (https://www.metododanielenovara.it/approfondimento/copione-educativo/)

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