La pedagogia “buona” esiste?

La pedagogia “buona” esiste?

Nonostante si parli sempre più di una pedagogia improntata sulle reali esigenze emotive del bambino e su quanto siano stati fatti passi in avanti in ambito di sapere pedagogico, si tratta di conoscenze che purtroppo rimangono accessibili ad una ristrettissima fascia di utenti. La maggior parte delle persone nella crescita dei figli, crede di poter colmare le proprie lacune personali, emotive, e soprattutto psicologiche con semplici costruttivismi pedagogici nella migliore delle ipotesi, o nei peggiori dei casi con classici consigli da bar tra genitori già incapaci di rapportarsi con i propri simili, figuriamoci con dei bambini.

Alice Miller, esperta di psicologia dell’età evolutiva, già nella prima metà degli anni ’80 si accorse che la realizzazione di una pedagogia “buona” fosse soltanto un miraggio e che non fosse in alcun modo ancora applicabile nella società odierna. Nonostante abbia trattato il tema dell’educazione dei più piccoli sotto innumerevoli punti di vista, con il solo fine di crescere persone buone e felici, si trovò costretta a ritrattare in parte le sue stesse idee definendosi “antipedagogica”.

Si trovò nella condizione di operare questa scelta per salvaguardare tutti quei bambini da genitori completamente inadatti al loro ruolo che adattavano alla grande missione educativa  “leggi fisse” che non erano in grado di comprendere (per i propri vissuti personali, per la propria ignoranza, e per la necessità di mantenere intatta l’idealizzazione dei propri stessi genitori) e di conseguenza creare confusione nei più piccoli, che si ritrovavano vittime inconsapevoli di abusi psicologici mascherati da precetti educativi “per il loro bene”.

Nonostante a livello teorico le conoscenze sull’infanzia abbiano raggiunto dei livelli soddisfacenti, nella pratica appare ancora evidente che in molti manchi ancora quell’anello di congiunzione tra teoria e pratica. Per riuscire realmente a scalare questa montagna di ignoranza che purtroppo appartiene ancora oggi alla maggior parte di noi, appare evidente che prima ancora di parlare di bambini occorrerebbe scoprire il bambino che si è stati.

La nostra società nell’ultimo secolo è notevolmente evoluta, ma il grande problema rimane proprio in questa evoluzione incontrollata: anziché liberarsi da tutte quelle costrizioni che caratterizzavano l’ambiente familiare e che lì rimanevano celate annientando per sempre l’animo del bambino, si sono notevolmente affinate, trasformate e spostate sul piano psicologico, diventando sempre più subdole, difficili da individuare e distruttive.

Se invece questa evoluzione fosse stata caratterizzata da una liberazione del proprio vissuto, dall’elaborazione e dalla comprensione, sicuramente oggi potremmo affacciarci sul piano dell’infanzia con tutta un’altra positività e costruttività.

Per cui per essere di reale sostegno ai bambini di oggi occorre fare un passo in più come sostenuto dalla Miller attuando un distanziamento dal passato che inconsapevolmente continua a determinare l’esistenza dei singoli e dell’intera società.

Questa evoluzione è possibile attraverso un percorso di analisi che miri alla comprensione della propria infanzia prima ancora di affacciarci su quella dei nostri figli.  In questa cornice si mostra centrale come il rendere accessibile questa opportunità a tutti si mostri una scelta vincente per la salvaguardia dell’unicità di ogni persona, bambino, del presente e soprattutto del futuro di noi tutti. 

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