Chi sarei io senza di te?

Chi sarei io senza di te?

Analisi del film “E ora parliamo di Kevin” (Lynne Ramsay, 2011): come il rapporto genitoriale influisce nella configurazione di Sé.

Rosso, un rosso sangue vivido, acceso, così si apre il racconto turbolento di Eva e della sua vita. Non è necessario essere dei buoni osservatori per notare quanto questo colore sia ricorrente e predominante lungo tutta la storia. Schizzi rossi sul muro esterno di casa, luce rossa lampeggiante della sveglia, la marmellata spalmata sul toast. Grandi e piccoli dettagli caratterizzati da questo colore, che molto probabilmente cela un significato profondo nascosto, interpretabile come un avvertimento di quello che accadrà successivamente.

Rosso è la morte, la colpa, il delitto. Il film ruota interamente intorno a due figure principali, Eva e Kevin, rispettivamente madre e figlio. Il tema centrale è il loro rapporto difficile, apparentemente conflittuale e ingestibile. Eva si trova a dover affrontare una gravidanza inaspettata e soprattutto indesiderata. La donna prova un forte disagio intorno ad altre future mamme e una triste solitudine. La situazione non migliora dopo la nascita del figlio: Eva è sempre più stanca e irritata. A malapena sopporta il neonato. Odia il suo pianto, che si confonde e penetra prepotentemente nell’orecchio come un trapano.

Crescendo, il piccolo Kevin si mostra ostile, presentando un atteggiamento ribelle e sfacciato verso la madre. Il suo sviluppo sembra procedere lentamente: per anni il piccolo non parlerà e continuerà ad indossare il pannolino. Questi comportamenti sembrano essere innescati non per una particolare patologia, bensì per una sua sottile vendetta. Eterna lotta e provocazione tra i due: come quando Kevin porge a sua madre un bel pannolino sporco, come per suggerirle che non merita altro che le sue feci da pulire. E una volta cambiato, sporcare ancora. “La mamma era felice prima che il piccolo Kevin arrivasse”, sono di questo tipo le poche interazioni che avvengono tra i due.

Ciò che manca è l’atmosfera di sicurezza, quella “base sicura”, descritta dallo psichiatra Bowlby. Un porto dal quale allontanarsi per esplorare l’ambiente intorno e da cui poi far ritorno. Dati questi elementi e ricorrendo alle teorie di Bowlby e della psicologa Mary Ainsworth, si potrebbe dedurre che Kevin abbia sviluppato uno stile di attaccamento insicuro-evitante.

Questo stile di attaccamento è, infatti, caratterizzato da manifestazioni emotive fredde e distaccate. La Ainsworth, durante la procedura della Strange Situation (1969), ha osservato che i bambini con questo tipo di attaccamento, interagiscono poco con il caregiver e non piangono se questo lascia la stanza.

Generalmente questa categoria si associa ad esperienze di rifiuto o disinteresse del caregiver alle necessità del bambino. Anche la scelta finale di Kevin è dettata in qualche modo da questo legame: gli adolescenti insicuri/evitanti possono presentare dei comportamenti aggressivi e violenti. Essere genitori è un compito estremamente delicato e difficile e ai fini dello sviluppo del bambino la qualità genitoriale è di fondamentale importanza.

Si può pensare ad un’altra lettura da dare alla scena finale, la quale è comunque strettamente legata alla teoria di attaccamento. Sarà proprio Eva a correre alla scuola, dove è appena avvenuta la strage per mano del figlio. Sarà lì davanti quando Kevin si fa docilmente arrestare guardandola negli occhi e sarà lei a trovare per prima i corpi morti del marito e della figlia, già precedentemente vittima del fratello. Come se tutto questo fosse stato un messaggio alla madre per riversarle addosso tutto il suo dolore. Per dirle “IO ESISTO”.

Il legame che lega i due protagonisti, per quanto sembri sgretolarsi frammento dopo frammento, appare più unito che mai. Eva continuerà a cercarlo, ad andarlo a trovare in carcere. Si assomigliano e si intrecciano insieme, proprio come nelle scene in cui la donna immerge il volto nella vasca del lavandino piena d’acqua e riemerge il volto del figlio, mischiatisi insieme.

Tutto il racconto è una continua ricerca di amore, in maniera silenziosa e talvolta meschina, che troverà la sua risoluzione nell’abbraccio finale. Questo era il senso e il fine ultimo: stringere forte a sé ciò che, mascherato dolore, era amore profondo. 

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