Il presidente o la presidente? Sessismo nella lingua, il maschile sovraesteso

Il presidente o la presidente? Sessismo nella lingua, il maschile sovraesteso

Il filosofo Wittengstein scriveva “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, questa citazione è esplicativa di un pensiero che nello specifico mette in evidenza quanto come si parla dica molto di chi si è. Conoscere il significato ed utilizzare in modo consono le parole è sintomo di padronanza della lingua, e quest’ultima sottintende una forte consapevolezza di chi si è e cosa si vuole comunicare.

Il rapporto tra l’uso della lingua e le caratteristiche socioculturali che distinguono l’appartenenza ad uno dei due sessi è un tema che nel 2024 stimola e accende dibattiti e riflessioni, anche tra i più giovani; in realtà questo tema ha una lunga storia alle spalle ed è oggetto di trattazioni da vari decenni. Nel 1986 Alma Sabatini, linguista e attivista italiana, ad esempio, ricevette l’incarico nel 1986 di redigere delle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua”; questo compito le venne affidato dai ministri del governo Craxi al fine di liberare la lingua e la società italiana dai residui pregiudizi nei confronti delle donne, nei suoi volumi Sabatini mise in evidenza come la lingua italiana sia caratterizzata da una asimmetria fra parole usate per riferirsi alle donne e termini utilizzati per riferirsi agli uomini.

Nella trattazione pubblicata da Alma Sabatini sono state messe in evidenza le forme linguistiche da evitare, poiché giudicate sessiste, tra queste è possibile menzionare; il maschile neutro, che consiste nell’utilizzo della parola “uomo” in senso universale, l’identificazione delle donne per ruolo familiare mentre degli uomini per professione, l’utilizzo del termine “signorina” e molte altre abitudini proprie del linguaggio italiano.

L’italiano è comunque la lingua dal genere marcato, tutti i nomi hanno un genere ed è espresso in modo trasparente nel finale o grazie alla declinazione di aggettivi, articoli e verbi al participio passato; pertanto, anche nomi ambigenere come “cantante” o “giornalista” assumono un genere ben preciso grazie alla concordanza dell’articolo che li precede.

Il fatto che l’italiano sia una lingua flessiva che declina per genere le parti variabili del discorso rende molto difficile parlare in modo indefinito di una persona. Si discute ancora troppo riguardo la declinazione al maschile o al femminile dei nomi con riferimento umano, l’Accademia della Crusca si esprime a riguardo sancendo che declinazioni come “La presidente” sarebbero preferibili a “Il presidente” in riferimento ad una donna, ma questa è una raccomandazione di carattere generale, che non per forza deve essere accolta.

Nelle scuole italiane si insegna che per riferirsi a moltitudini miste o a gruppi di persone di cui non si conosce il genere si debba utilizzare il maschile, lo si fa per comodità, per consuetudine e perché si è sempre ragionato in questo modo; la trattazione si può estendere anche nel caso già citato dell’uso esclusivo del maschile per i ruoli importanti a livello amministrativo.

Sebbene l’Accademia della Crusca, la stessa Alma Sabatini circa 30 anni fa e molti altri enti impegnati in questo contesto, consiglino e preferiscano l’esplicitazione del genere nella lingua, per dare dignità e credibilità alla donna, la generazione Z propone e comincia ad utilizzare un linguaggio definito inclusivo.

I giovani appartenenti a questa generazione, infatti percepiscono limitante questo binarismo di genere; pertanto, vengono messi in pratica molti tentativi di aggirare il problema con fine ultimo è quello di accedere ad un linguaggio inclusivo, che consenta anche alla lingua italiana di avere una forma neutra. Le trattazioni che ne derivano sono disparate: se è vero che da un lato il linguaggio è affermazione e nominare le cose significa farle esistere, è vero anche che descrivere qualcosa significa circoscriverla, e di conseguenza escludere le alternative. Il linguaggio inclusivo si pone un obiettivo importante: evitare discriminazioni di genere (anche involontarie), evitando di specificare il genere appartenente alla persona nominata.

Bisognerebbe chiedersi però se arrivare a questo obiettivo è possibile, utile e addirittura necessario: nominare le cose significa farle esistere e descriverle significa escludere le alternative; citando una metafora dell’esperto Paolo Borzacchiello, possiamo paragonare la descrizione allo scatto di una fotografia, in cui, inquadrare un soggetto in particolare presuppone l’esclusione di tutti gli altri e, potrebbe oggettivamente definirsi giusto così.

La lingua italiana è senza dubbio ancora inadeguata e lontana dal definirsi appieno non sessista, la prevalenza di termini maschili riferiti a cariche istituzionali importanti, ad esempio può scatenare nell’immaginario delle persone che i compiti di responsabilità, di leadership e le alte cariche siano destinate solo alle persone di genere maschile; la nota positiva è che ciò non corrisponde al vero, e che nel 2024 non fa nemmeno più notizia.

Molte donne ricoprono cariche importanti, a livello politico, sociale e non solo, il sessismo entra in atto solo nel momento in cui questo viene messo in evidenza; pertanto, è molto comune che donne a capo di importanti cariche descrivano come “poco importante” che si definisca e precisi il loro genere prima del loro appellativo, e non c’è nulla di più paritario di questa affermazione.

Se nel 2024 non stupisce più vedere donne che rivestono ruoli politici, o a capo di importanti organizzazioni è gusto sfruttare ed utilizzare al meglio la lingua italiana, anche con il suo binarismo di genere, non solo per rilevanza sociale della donna, ma anche per descrizione del vero che non lasci dubbi su ciò che si vuole indicare, è pertanto importante e funzionale adattare la lingua italiana a quella che ormai è la realtà, ciò consisterà nell’adeguare la lingua ai mutamenti sociali che, anche se non spesso come auspicabile, possono girare in favore della donna.

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