
Un ingresso inaspettato
- Marzo 06, 2025
- di
- Carolina Teresi
Martedì 8 Febbraio 1966, Montepulciano. Una giornata fredda, umida, la pioggia che batte.
Questa mattina si è alzata presto per prepararsi con tutta calma: oggi è un giorno memorabile, il giorno più importante, l’inizio della sua nuova vita.
Ha scelto da tempo cosa indossare: una settimana prima è andata in centro presso la boutique della signora Maria per acquistare un elegante tailleur, giacca e gonna di tweed, modello Chanel, a righine bianche e nere. Ha scelto di abbinarvi delle décolletés nere con il tacco non troppo alto – meglio non esagerare -, una borsa a tracolla per gli effetti personali e una cartella un po’ logora in cuoio per i documenti di lavoro. La cartella era appartenuta a suo padre, venuto a mancare da poco: è lì con lei, lo sente, ed è immensamente fiero di sua figlia.
Una volta vestita, si guarda allo specchio. Nonostante tutto, il viso è rilassato, ha riposato bene. Questo le dimostra che è la cosa giusta, che si trova esattamente dove dovrebbe essere.
Un velo di cipria sul viso, una leggera passata di rossetto: è pronta.
Sulla soglia di casa si accorge del maltempo: accidenti, le scarpe rischiano di rovinarsi. Meglio indossare quelle da pioggia e cambiarle poco prima di entrare in Tribunale. Percorre il tragitto a piedi coperta dall’ombrello e da un impermeabile beige.
L’eccitazione le affretta il passo e in pochi minuti è giunta a destinazione. Al portone principale ci sono solo uomini, avvocati più o meno giovani in attesa dell’ora della propria udienza.
Si avvicina al controllo bagagli dove i componenti della Polizia penitenziaria la squadrano dalla testa ai piedi, stupiti nel vedere una donna, una così bella e giovane ragazza presentarsi alle 9 del mattino in quel luogo. Gli agenti ispezionano rapidamente il contento delle sue borse e la lasciano entrare.
Solo dopo aver varcato la soglia, si rende conto di non sapere dove andare: il Palazzo di Giustizia è abbastanza grande, nonostante si tratti di un tribunale di provincia. È sviluppato su due piani, si chiede dove sia l’aula che deve raggiungere.
Le viene in mente che sulla lettera d’incarico c’è scritto: I sezione civile, I piano, stanza n. 27.
Si volta, vede il tabellone con un cartello che indica le scale. Sale la rampa monumentale, ha il fiato corto la salivazione azzerata.
Giunta al primo piano, incontra un addetto che, visibilmente esterrefatto, le chiede: «Desidera?»
«Buongiorno» risponde lei, «cerco l’aula n. 27 della prima sezione civile».
«É la terzultima porta in fondo a destra nel corridoio» risponde il funzionario, ma poi aggiunge «comunque è in anticipo signorina, le udienze non cominciano mai prima delle 9:30». Fa una pausa, incuriosito.
Non sa se può continuare il suo mini-interrogatorio. «E poi…» prosegue «quella era la stanza del giudice Venditti, è andato in pensione il mese scorso. Io sono il cancelliere assegnato alla seconda sezione, non so nulla delle udienze della prima. Ma il mio collega sta per arrivare e può chiedere a lui. Però ecco, di una cosa sono certo, quella stanza non è stata ancora riassegnata. È sicura che si terrà lì la sua udienza?»
«Sì, grazie. Ne sono sicura, non si preoccupi».
Gabriella percorre il corridoio con passo sicuro, ha cambiato le scarpe poco prima di entrare, fermandosi al bar dell’angolo, dove ha consumato un secondo caffè. Arriva innanzi alla stanza n. 27, mette la mano sulla maniglia, ma la porta è chiusa a chiave. Scorge un cartellino appeso al muro che recita: «Per i dottori magistrati: le copie delle chiavi delle aule sono in cancelleria, chiedere del signor Lino».
Arresa, sa che dovrà attendere l’arrivo del cancelliere di sezione per poter accedere all’aula. Sono le 9:15, non dovrebbe attendere ancora a lungo.
In effetti avverte il suono di un passo svelto, affettato. Un signore distinto ma un po’ in carne si accinge ad entrare nella porta alla fine dell’altro lato del corridoio. Gabriella lo segue, sperando si tratti del signor Lino.
Lascia che l’uomo prenda possesso della sua postazione, poi si avvicina alla porta, sulla quale è affissa l’etichetta «Cancelleria I sezione civile» e delicatamente bussa.
«Mi scusi, è permesso?»
Il signor Lino, visibilmente scocciato di essere disturbato non appena arrivato sul luogo di lavoro, risponde svogliatamente: «Sì, prego, avanti, che c’è di così urgente?»
«Buongiorno» risponde dolcemente Gabriella. «Mi rincresce disturbarla, ma mi occorrono le chiavi della stanza n. 27 in fondo al corridoio».
Lino è incredulo: una donna, una bella donna è entrata nella sua stanza. Non se ne vedono molte lì, anzi le avvocate sono una vera rarità. Lino si asciuga un velo di sudore, imbarazzato nel vedere una figura così ben curata e avvenente. Sospira, riflette tra sé e sé. “Ma cosa ci fa qui a quest’ora? Una donna poi? Nella stanza del dottor Venditti. Aspetta un attimo, Venditti non è più in servizio, ancora più strano…”
«Buongiorno a lei signora, ah no mi scusi – volevo dire – avvocato» si corregge «ma cosa ci deve fare nell’aula 27? Non sono previste udienze nella giornata odierna. La stanza deve essere assegnata al nuovo magistrato incaricato, il predecessore è andato in pensione».
Gabriella si compiace. Si aspettava quel momento. Sa esattamente cosa rispondere.
«Sì, ne sono al corrente, la ringrazio. Mi dispiace di non aver avuto il piacere di conoscere il dottor Venditti. Sarebbe stato un onore conoscere un magistrato della sua levatura». Prende una breve pausa, sfoggia il suo sorriso migliore e poi conclude: «E sì, ho bisogno che mi dia le chiavi della stanza n. 27. Sono il nuovo magistrato assegnato alla I sezione civile».
Gabriella Luccioli è stata la prima donna magistrato italiana. Superò il concorso indetto nel 1965, il primo aperto all’ingresso delle donne in magistratura. Ricevette il suo primo incarico come uditore giudiziario presso il Tribunale di Montepulciano, per poi proseguire il prestigioso ufficio nella città natale, Roma.
Nel marzo 1988 iniziò la sua carriera presso la Corte di Cassazione. Da sempre attiva per una maggiore presenza femminile nella magistratura, nel 1990 fu una delle fondatrici dell’Associazione Donne Magistrate Italiane.
Il 7 febbraio 2008 divenne la prima donna magistrato ad essere nominata Presidente di sezione della Corte di Cassazione e il 1° ottobre 2011 divenne la prima donna Presidente titolare della Prima sezione civile della Suprema Corte.
Nell’arco della sua lunga carriera si è occupata principalmente di diritto di famiglia, adozioni e diritti della personalità. Fu consigliere relatrice della sentenza n. 601 del 2013 in cui riconobbe il diritto all’affidamento dei minori per le coppie dello stesso sesso, nonché della sentenza n. 21748 del 2016 sul caso Eluana Englaro, nella quale fu affermato per la prima volta il diritto all’autodeterminazione terapeutica per i malati terminali.