L’ingerenza linguistica nella cultura aziendale
- Gennaio 13, 2025
- di
- Ivie Zanchetta
La commistione tra lingua inglese ed italiana è ormai assodata, e nel mondo del lavoro la coesistenza di questi idiomi è spesso sapientemente sfruttata per dare un appellativo di comprensione immediata all’oggetto di cui si parla.
L’avvento delle nuove tecnologie ha reso indispensabile questo adattamento a dei termini universali, a partire da www (world wide web) fino a KPI (key performance indicator).
Anche i ruoli aziendali man mano hanno acquisito nomenclature apposite, che possano restituire subito l’idea dell’importanza della mansione e della posizione gerarchica occupata dalla persona. Nonostante ciò, nelle aziende si cerca sempre più di mantenere dei toni informali anche tra responsabili e sottoposti: i capi reparto non portano più la giacca e cravatta e gli impiegati non hanno il cartellino con il nome. Ci si dà quasi sempre del tu e si parla tranquillamente nei corridoi. Inoltre, l’anzianità non è più automaticamente un criterio per definire l’esperienza e l’importanza del ruolo: può capitare sempre più spesso che un nuovo assunto entri direttamente come capo di una divisione aziendale, senza aver “fatto la gavetta” direttamente all’interno dell’impresa. Per cui, per definire una scala gerarchica è divenuta abitudine chiedere fra colleghi: “Tu sei specialist o sei manager?”. La domanda fa riferimento alla firma nell’e-mail aziendale, perché abitualmente i lavoratori sottoposti hanno il titolo di specialist, mentre i capi reparto sono managers.
E qui prosegue l’odissea dei significati interpretabili dei termini inglesi, applicabili agli strumenti di lavoro e ai ruoli delle persone. Un facilitator è colui il quale si occupa delle facilities, oppure è un facilitatore nel senso più ampio di mediatore? Se devo raggiungere un obiettivo economico, trattasi di target o di budget? La consuetudine aziendale autodefinisce il termine e lo impone in qualche modo a tutti i dipendenti, che a volte devono spiegare anche all’esterno dell’impresa cosa si intende in un’e-mail o in un discorso.
C’è chi ha sviluppato un moto di rifiuto nei confronti degli inglesismi abusati, soprattutto quando si ricevono delle e-mail che suonano più o meno in questo modo: “Prendo in carico il task e torno da te ASAP con un feedback più compliance al ticket che hai aperto”.
Quando ero bambina, leggevo spesso delle riviste che contenevano delle piccole informazioni scientifiche interessanti, facili da memorizzare: delle curiosità, in effetti, che potessero rimanere impresse nella mente dei bambini. È passato parecchio tempo (ormai sono anziana) e non ricordo il nome della rivista, ma ricordo che lessi di una curiosità legata al mondo di Star Wars: correva l’anno 1999 ed era appena uscito il film La Minaccia Fantasma. Nel film, c’era un buffo personaggio chiamato Jar Jar Binks, che parlava un misto di alcune lingue europee, mescolando nella stessa frase parole italiane, spagnole, inglesi, con costrutti inventati. La maggior parte dei fans di Star Wars odia quel personaggio, anche e soprattutto perché a causa di questa sua parlata peculiare risulta davvero ridicolo. La rivista che lessi da bambina diceva che un giorno avremmo tutti parlato più o meno come Jar Jar Binks: un misto di termini diversi provenienti da tutte le lingue, un nuovo idioma chiamato Europanto.
L’articolo, lo scoprii in età adulta, citava una lingua già definita, inventata nel 1996 dall’esperto traduttore Diego Marani, per svago. Il Marani stesso, quale inventore dell’Europanto, lo definì infatti “uno scherzo linguistico”, e non a caso: perché l’inglese, che era alla base dell’idioma inventato, è una lingua con pochi costrutti grammaticali complessi (pochi casi irregolari, riassumibili nei paradigmi verbali; ma anche poche declinazioni di genere, rispetto all’italiano, ad esempio, o al tedesco). Si presta bene come base di partenza per una nuova lingua “facile”, e altrettanto bene si presta ad essere utilizzata lavorativamente per alcuni termini di veloce comprensione.
È questa la direzione che stiamo prendendo? E se così sarà, saremo tutti in grado di comunicare meglio, oppure diventeremo ridicoli, proprio come Jar Jar Binks?
Come nella maggior parte delle situazioni, il buonsenso è quello che dovrebbe guidare la nostra decisione nella scelta tra l’italiano e l’inglese, a seconda di cosa sia più comprensibile, e non di cosa sia mainstream (ecco, ci sono cascata anch’io): il messaggio per il destinatario non dovrebbe mai risentire della propria chiarezza e fruibilità.
La comunicazione è importante, le persone lo sono altrettanto: la nostra identità (aziendale) è costituita anche dalla lingua che parliamo. Io non vorrei essere un Jar Jar Binks nell’ambito del mio lavoro… e voi?