Alessandro Manzoni: una vita che è un romanzo

Alessandro Manzoni: una vita che è un romanzo

La maggioranza degli italiani conosce (almeno sommariamente) “i promessi sposi” o l’ode “5 maggio 1821” con il suo incipit “Ei fu….”, ma pochi conoscono la biografia di Alessandro Manzoni.

In questo mio scritto voglio analizzare la vicenda umana e più strettamente personale del letterato. Inizio dalla fine, dalla sua morte avvenuta a ben 88 anni (una esistenza assolutamente longeva per l’epoca), una morte lenta e dolorosa in seguito ad una caduta dalle scale del sagrato della chiesa di San Fedele in Milano avvenuta il giorno dell’Epifania del 1873. Manzoni mantenne lucidità mentale in seguito all’evento, ma non si riprese mai completamente da quell’urto improvviso e forte del suo capo contro lo spigolo di uno scalino, fino a spegnersi quattro mesi dopo. In quel periodo di infermità ha riflettuto sulla sua lunga esistenza iniziata sotto l’impero asburgico (nel 1785) e terminata con gli onori del neocostituito Regno d’Italia.

I biografi e le testimonianze dell’epoca riportano che Manzoni fu un uomo pieno di complessi e contraddizioni. Balbuziente, sfuggiva la vita mondana, a favore dei suoi studi e le sue ricerche nella residenza milanese di via del Morone (oggi museo) e la residenza di Brusuglio nella periferia di Milano. Soffriva di agorafobia, attacchi di panico, ipocondria, svenimenti, fobie varie (timore della folla, dei tuoni e delle pozzanghere).

Nella conversazione usava l’italiano con i visitatori provenienti da altre regioni italiane, ma adoperava il dialetto milanese nella vita quotidiana. Inetto nell’amministrazione dei suoi beni, dimostrava al contrario una grande attenzione nei confronti del mondo che lo circondava, non mancando di giudicare, placidamente e con ironia, gli eventi politici e sociali di cui veniva a conoscenza, o di adottare autoironia verso i suoi mali. Le persone a lui più vicine ne sottolineavano la cortesia, la memoria vivacissima, l’ingegno e una capacità discorsiva elegante.

La sua vita familiare è stata altrettanto complessa. Venerava la madre Giulia Beccaria (figlia del celebre scrittore Cesare Beccaria), di cui patì il distacco avvenuto a soli sei anni di età e che ritrovò solo quindici anni dopo. Il padre legittimo era Pietro Manzoni, ma pare certo che il padre naturale fosse Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro e Pietro Verri). A soli sei anni di età fu affidato alle cure dei padri somaschi a Merate e poi dei Barnabiti a Lugano, dove ebbe un rapporto conflittuale con i religiosi e con i compagni di scuola. È da quel periodo che nacque la sua introversione, la letteratura e la scrittura divennero un rifugio per uscire dalle incomprensioni umane e spirituali. A 16 anni andò a vivere a Milano con l’anziano padre; alterna la vita di città con soggiorni presso la tenuta di Lecco, e dedica buona parte del suo tempo al divertimento e in particolare al gioco d’azzardo. Frequenta l’ambiente illuministico dell’aristocrazia e dell’alta borghesia milanese.

Ebbe due mogli (entrambe morirono prima di lui) e ben dieci figli (di cui otto premorirono a lui). La prima moglie, Enrichetta Blondet, era protestante (un fatto alternativo per l’epoca, soprattutto per un uomo del suo rango) e il matrimonio fu celebrato con rito calvinista. Pare che la conversione della moglie al cattolicesimo ebbe una influenza anche sul Manzoni, il quale arrivò a scrivere direttamente a papa Pio VII per consentire di celebrare il loro matrimonio anche secondo il rito cattolico. Dalla conversione tutte le opere del Manzoni saranno pienamente conformi alla fede cattolica e alla necessità di divulgarla con l’esempio e con le opere.

Il successo letterario non coincise con la vita privata. A parte le nevrosi di cui soffriva, la sua vita è stata contrassegnata dai lutti prematuri delle mogli e dal rapporto con i figli tutt’altro che idilliaco. I suoi biografi riportano che Alessandro Manzoni è stato attento più alla cura dei suoi personaggi che non dei suoi figli. Sono strazianti le lettere della figlia Matilde che in fin di vita a causa della tubercolosi cerca le attenzioni del padre, ma egli non risponde all’appello.

In virtù del suo carattere visse perlopiù appartato dalla vita pubblica, mantenendosi estraneo dai principali eventi mondani della città e distante dall’impegno politico attivo, anche se scrisse delle “odi civili” e mantenne una posizione culturalmente e moralmente favorevole alla causa dell’Unità che lo spingerà ad accettare la nomina a senatore a vita durante la vecchiaia. In seguito alle “cinque giornate di Milano”, temendo ritorsioni da parte delle autorità austriache, decise di riparare sul Lago Maggiore, a Lesa (allora parte del Regno di Sardegna), dove la seconda moglie (Teresa Borri Stampa) aveva una residenza di villeggiatura. Manzoni era di origine lecchese per parte di padre, e proprio su “quel ramo del lago di Como” decise di ambientare una parte de I promessi sposi, ma come poco sopra citato aveva un rapporto stretto anche con il Lago Maggiore, ove in quell’epoca ritrovò poco lontano (a Stresa) il vecchio amico Antonio Rosmini. Tutt’oggi delle associazioni locali tengono i vivi i “sentieri manzoniani”, percorsi in mezzo ai boschi poco sopra Lesa che Manzoni era solito percorrere discorrendo di letteratura, poesia, filosofia e attualità insieme all’amico Rosmini, difatti Manzoni viene ricordato anche come un grande camminatore.

Manzoni è ritenuto un punto di riferimento del pensiero cattolico, ma in realtà il suo rapporto con la Chiesa e nei confronti della fede non fu lineare. In gioventù egli fu molto critico nei confronti della Chiesa (“contro la chiesa delle istituzioni ma non del Vangelo”) e tenne uno stile di vita abbastanza dissoluto e godereccio.

Il dibattito sulla conversione di Manzoni è ancora aperto. Posto che la conversione della prima moglie ebbe influenza anche sul marito, la Blondel è protagonista anche di un episodio leggendario, il “Miracolo di San Rocco”. La versione più diffusa racconta che durante i festeggiamenti per le nozze fra Napoleone e Maria Luisa d’Austria (2 aprile 1810), i coniugi Manzoni furono divisi a Parigi dalla folla festante. Alessandro, angosciatissimo perché non trovava più la sposa, fu colto da un violento attacco di panico, primo segno dell’agorafobia che lo tormenterà dal 1815 alla morte, e si rifugiò nella chiesa di San Rocco ove ebbe, secondo la leggenda, l’illuminazione a convertirsi: poi, uscito dalla chiesa, si imbatté subito proprio nella giovane moglie.

In conclusione, è spontaneo notare che la vita di Alessandro Manzoni è stata essa stessa un romanzo, in cui al successo e la gloria professionale hanno fatto da contraltare i lutti e i dispiaceri nella vita personale. Proprio il Cristianesimo, la Provvidenza che è il filo conduttore de “i promessi sposi” hanno guidato la sua esistenza nell’affrontare le difficoltà e le avversità della vita.

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