Finché c’è Hope, c’è speranza!

Finché c’è Hope, c’è speranza!

I media italiani e americani hanno rilanciato in questi giorni le immagini di una sorridente Hope Carrasquilla in visita al David di Michelangelo, accolta dalla direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze Cecilie Hollberg.

Hope è quell’insegnante della Florida che si dovette dimettere a marzo travolta dall’ondata di indignazione agitata da un gruppo di genitori di una classe di prima media a cui l’insegnante aveva esibito le immagini del famoso capolavoro michelangiolesco. Secondo i pudicissimi genitori, l’insegnante si era resa colpevole di aver esibito foto “pornografiche” e quindi inappropriate per l’età dei giovani figli.

L’incauta educatrice, a loro dire, aveva mostrato anche immagini della Creazione di Adamo di Michelangelo e della Nascita di Venere di Botticelli, in un climax di nudità che avrebbe potuto turbare in maniera irreparabile la moralità in via di formazione della propria prole.

Nella foto Hope Carrasquilla con il Sindaco di Firenze Dario Nardella

Queste sono le follie a cui ormai siamo esposti in questo scorcio di inizio millennio, da quando il nostro pianeta è stato travolto da un’ondata di grottesco puritanesimo, in parte alimentato dagli algoritmi dei social media più conosciuti che dimostrano di essere governati più che da un’intelligenza artificiale, da una intelligenza superficiale.

Si finisce per essere bannati e additati al pubblico ludibrio per aver postato foto di capolavori dell’antichità i cui autori tutto ricercavano fuorché la pornografia, ma piuttosto la grazia e l’armonia delle forme spesso governate dalle proporzioni del canone aureo. Rischiamo di trasformarci in una nuova civiltà iconoclasta in virtù di una distorta interpretazione e applicazione del politically correct che, per non dispiacere nulla e nessuno, porta ad un appiattimento culturale se non a un nichilismo tout court.

La cultura e l’arte sono sempre state funzionali ad un’apertura delle menti e a favorire il dialogo, ma oggi la cultura è messa sotto attacco non tanto e non solo dai fondamentalismi religiosi e talebani che aborrono ogni forma di rappresentazione umana e divina se non rigidamente aderente al proprio credo, ma addirittura da una parte della civiltà occidentale che, in un malcelato tentativo di riparare a errori del passato, mette in atto una vera cancel culture.

E come lo fa? Con quelle politiche definite affirmative actions, traducibili come discriminazioni positive, che tentano di rimediare agli effetti della discriminazione di minoranze etniche, sociali e culturali riservando quote specifiche nei vari ambiti a favore dei gruppi che si vogliono tutelare.

Un ampio dibattito è in atto sulla bontà di queste pratiche in ambito sociologico ed economico perché, paradossalmente, il tentativo di un riequilibrio genera a sua volta discriminazione non fondandosi su elementi di merito ma solamente di appartenenza.

La cosa ancora più discutibile è applicarlo al mondo dell’arte e purtroppo sempre più musei americani folgorati dal politically correct nascondono nei loro caveaux opere di elevato valore artistico a favore di modeste espressioni tribali che hanno più a che fare con l’artigianato che con l’arte, con il semplice scopo di accattivarsi le simpatie di una determinata comunità.

L’arte entra così in un tritacarne mediatico, giudicata e interpretata secondo l’umore del momento e piegata alle finalità contingenti della politica, perdendo i suoi valori di universalità e atemporalità. Ecco, perciò, che il povero David di Michelangelo, a cinque secoli di distanza, può essere accusato di pornografia o di rappresentare la cultura suprematista bianca quando semplicemente dovrebbe simboleggiare la lotta per libertà contro la tirannia, e le sue forme dovrebbero essere ammirate come esempio supremo dell’arte scultorea.

Per fortuna, in un angolo remoto della Florida, c’è ancora un insegnante che crede nel valore pedagogico dell’arte e si prodiga per propagandarlo. Verrebbe da dire: finché che Hope, c’è speranza!

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