
Finanza verde o grande illusione? Quando la sostenibilità diventa mero marketing
- Marzo 03, 2025
- di
- Davide Ricciardi
Negli ultimi anni, la finanza si è tuffata nella sostenibilità come se fosse la nuova frontiera del business. Fondi ESG, investimenti green, obbligazioni sostenibili: tutto sembra muoversi nella giusta direzione. Il denaro, che da sempre alimenta il mercato, potrebbe finalmente essere utilizzato come leva per il cambiamento ambientale. Ma la domanda scomoda è un’altra: è davvero così, o siamo di fronte all’ennesima operazione di marketing ben confezionata?
L’idea che la sostenibilità e la finanza possano convivere è affascinante. I capitali possono premiare le aziende che riducono le emissioni, che innovano in settori chiave come le rinnovabili, che adottano modelli di produzione meno impattanti. In teoria, più un’azienda è sostenibile, più investitori e consumatori dovrebbero premiarla, creando un circolo virtuoso che spinge il mercato nella giusta direzione. E infatti, negli ultimi anni, il numero di fondi ESG è esploso: oggi il mercato della finanza sostenibile vale quasi 50 trilioni di dollari. Numeri enormi. Ma se tutto questo denaro stesse solo alimentando una bolla?
Uno dei problemi principali è che non esiste ancora un sistema davvero chiaro e condiviso per stabilire cosa sia sostenibile e cosa no. Le certificazioni ESG, che dovrebbero aiutare gli investitori a orientarsi, spesso si basano su criteri poco trasparenti o facilmente manipolabili. Un’azienda può ottenere un buon punteggio non necessariamente perché sta riducendo il proprio impatto ambientale, ma perché ha una governance solida o perché investe in programmi sociali. Il che è sicuramente positivo, ma ha poco a che fare con la sostenibilità ambientale.
E poi ci sono i crediti di carbonio, uno degli strumenti più discussi della finanza verde. In teoria, funzionano così: un’azienda continua a inquinare, ma “compensa” le sue emissioni finanziando progetti di riforestazione o di conservazione ambientale. Il problema? Molti di questi progetti non producono alcun effetto reale, e in alcuni casi si è scoperto che le foreste protette con questi crediti non erano mai state a rischio di disboscamento, il che significa che la compensazione era solo fittizia. Non è un caso che un’inchiesta del 2023 abbia rivelato che il 90% dei crediti certificati da uno dei più grandi enti del settore non aveva alcun impatto effettivo.
Questa mancanza di trasparenza si traduce in un rischio concreto: che la finanza sostenibile diventi solo un modo per spostare denaro senza cambiare davvero le cose. Certo, alcune aziende sono realmente impegnate a ridurre il loro impatto, ma per molte altre è solo un’opportunità di branding. Il rischio è che lo sforzo di chi sta cercando di fare la differenza venga offuscato da chi sfrutta la sostenibilità solo per migliorare la propria immagine.
Quindi cosa si può fare? Di sicuro serve più trasparenza. Gli investitori dovrebbero avere accesso a dati chiari e misurabili, non solo a etichette generiche. Chi certifica la sostenibilità dovrebbe essere indipendente e soggetto a controlli rigorosi. E poi, servirebbe una maggiore consapevolezza da parte di tutti: non basta vedere una scritta “green” per pensare che un investimento sia davvero sostenibile.
La finanza potrebbe essere un motore potente per la transizione ecologica, ma solo se si basa su criteri solidi e reali. Altrimenti, rischiamo di trovarci di fronte all’ennesimo grande bluff, dove il vero cambiamento non arriva mai, ma intanto il mercato continua a girare, più verde che mai… almeno all’apparenza.