Dinamiche perinatali della nascita biopsichica di un individuo: l’essenza della generatività e della genitorialità

Dinamiche perinatali della nascita biopsichica di un individuo: l’essenza della generatività e della genitorialità

Massimo Recalcati, nel suo libro “Il segreto del figlio” (2017) scrive: “la condizione del figlio coincide con quella dell’uomo: in una vita possiamo non diventare padri o madri, mariti o mogli, possiamo anche non avere sorelle o fratelli, ma nessun essere che abita il linguaggio, nessun essere umano, può non essere figlio”.

“La condizione del figlio, quindi, coincide con quella dell’uomo”, per questo motivo parlare della nascita di un individuo vuol dire parlare anche della nascita dell’umanità intera: perché “nessune essere umano può non essere figlio”.

 La nascita biopsichica di un individuo è intimamente connessa alle dinamiche che coinvolgono i genitori e la famiglia, sin dalle vicende perinatali, ovvero dalla gravidanza (circa dalla 28° settimana) fino a dopo il parto (fino al 7° giorno circa).

Il presupposto di partenza è che l’intero sviluppo dell’individuo è inevitabilmente condizionato dalla qualità della relazione con i genitori, sin dalla vita prenatale. Per questo motivo, aumentare l’attenzione e la cura verso il benessere mentale e fisico anche per la formazione dei nuovi individui, cela l’impresa di “miglioramento dell’umanità”. (come suggerito da Antonio Imbasciati nel libro Psicologia Clinica Perinatale del 2007).

Pùò quindi l’ambiente prenatale influenzare lo sviluppo del feto? Dalle ricerche effettuate la risposta è: assolutamente sì. Lo stile di vita della mamma, la sua nutrizione, ma anche e soprattutto la sua emotività e lo stress, a cui eventualmente è sottoposta, possono incidere sugli esiti della gravidanza e del parto e sul benessere della prole.

I filoni di ricerca relativamente recenti, nati nell’ambito della psicologia della salute hanno confermato come non sia affatto netta la distinzione tra psiche e corpo. La gravidanza, sin dal concepimento, manifesta l’interdipendenza tra corpo-mente-ambiente della donna, in quanto ogni aspetto della sua vita e della sua psiche si rende tangibile a livello fisico, particolarmente nei mesi della gestazione. Inoltre, il suo benessere (sia fisico che mentale) è inevitabilmente connesso a quello del feto, come sottolineato nel libro di “Psicologia della salute” di Bitti e Gremigni del 2021: anche secondo Bateson, infatti, siamo il prodotto di molteplici fattori che interagiscono sin dal concepimento.

L’Epigenetica in questo senso ci offre una prova scientifica del fatto che i vissuti, gli aspetti emotivi, lo stile di vita e la nutrizione hanno un impatto non indifferente sulla nostra salute, lasciando una traccia nel nostro DNA che può essere tramandata di generazione in generazione: le modifiche epigenetiche influenzano l’espressione dei nostri geni e sono la prova che il nostro organismo si adatta all’ambiente che lo circonda, sin dalla vita prenatale.

Il corpo della donna reagisce a ciò che avviene a livello mentale e inoltre, rappresentando l’ambiente che accoglie il feto, genera una reazione nel grembo materno: il feto, infatti, si adatta modificando le traiettorie del suo sviluppo in base alle informazioni che riceve (come appurato dalla Teoria della programmazione fetale di Barker per esempio). Si può affermare che il benessere mentale è fondamentale anche per la salute fisica: corpo e mente sono facce della stessa medaglia. Promuovere l’attenzione alla salute mentale della donna durante la gravidanza vuol dire provare a garantire benessere alla donna e al figlio/a che porta in grembo.

Per approfondire meglio l’argomento, è necessario affrontarlo secondo più prospettive: della donna che sta per diventare mamma, del nascituro e della famiglia che sta per accoglierlo.

Risulta importante, e per niente scontato, parlare di gravidanza dal punto di vista femminile. Lungo i secoli, infatti, il concetto di maternità si è evoluto accompagnato dall’emancipazione femminile, ma ancora oggi nella società è radicata una certa idea passiva di donna: ovvero quella di una donna contenitore, che nasce con l’unico scopo di generare figli, ma anche l’idea che la gravidanza sia a prescindere un momento idilliaco, partendo dal presupposto che ogni donna nasca con l’istinto di maternità.

In questo senso il corpo della donna diventa quasi un mezzo che la società può controllare. Vengono quasi monopolizzate le sue scelte attraverso prima di tutto l’educazione, ma in realtà solo lei dovrebbe decidere per sé e per il suo corpo: ognuna con la sua storia, la sua fragilità, la sua forza. La donna è molto più di tutto ciò, molto più di un semplice contenitore “cavo”: mentre il suo corpo crea la vita dal punto di vista fisico, permette anche che si generi la vita dal punto di vista psichico. Bisognerebbe far sì che la donna possa recuperare la maternità come potenzialità, al di là della sua realizzazione e come patrimonio inalienabile a cui solo lei può rispondere con un sì o con un no.

Nel suo libro, “Il bambino della notte”, Silvia Vegetti Finzi scrive “divenire donna, divenire madre”: in gravidanza la donna affronta se stessa, le sue paure, i cambiamenti fisici, le angosce del passato per diventare madre, che è “la più intima dimensione dell’essere donna.” Ed è proprio dall’intersoggettività della relazione diadica primordiale che si sviluppa la proto-mente di un individuo.

Attraverso la sintonizzazione affettiva (teorizzata da Stern nel 1988), che parte proprio dalla vita prenatale, attraverso i cambiamenti fisici e psichici che affronta la mamma, ma anche attraverso i primi tentativi di contatto prenatale dei genitori, si forma così l’attaccamento prenatale (termine che proviene dall’attaccamento materno-fetale coniato da Mecca Cranley nel 1981) detto anche Bonding, ovvero i comportamenti che manifestano il coinvolgimento affettivo verso il feto, gettando le basi per il rapporto più importante della vita di un individuo. La qualità di questa scintilla d’amore, del modo in cui avviene, determina lo sviluppo delle persone.

Per questo è così importante aiutare e sostenere i genitori, specialmente la donna in questo periodo di vulnerabilità, da cui dipendono la salute psichica e fisica di una persona: un buon attaccamento prenatale predice inoltre una migliore qualità di attaccamento con il nascituro. 

Ma trattando di intersoggettività, l’altra domanda che mi sono posta è stata: il feto possiede una sua proto-identità? Secondo le ricerche effettuate, la risposta è sì: il feto percepisce, reagisce, memorizza le informazioni ricevute. Come sostenuto da Cartacci, l’autoregolazione e la regolazione diadica sono le coordinate di un processo da cui dipenderà l’identità di un individuo.

Il mondo esterno viene filtrato dal grembo materno, in particolare dalla placenta. Grazie alle nuove tecnologie oggi si sa che la placenta, organo di vitale importanza, funge da mediatore con l’ambiente esterno e interno (come le emozioni) della mamma e interviene nella modulazione del neurosviluppo fetale grazie alla produzione di serotonina: siamo esseri relazionali, dalla simbiosi diadica si crea la vita.

Gli stimoli ricevuti accompagnano il neurosviluppo e la formazione della personalità di un individuo; infatti, le evidenze scientifiche e le nuove tecnologie come le ecografie 3D/4D e la risonanza magnetica funzionale, provano il fatto che il feto sia in grado di provare emozioni, dolore e mostrare preferenze, come si può notare dalle espressioni facciali o dalle misure fisiologiche. Grazie a queste evidenze è aumentato l’interesse per la vita prenatale, verso lo psichismo fetale e l’origine della mente umana. Milani Comparetti, per esempio, preferisce definire il feto “bambino in utero” proprio per sottolineare il fatto che ha una propria identità. Tutto ciò risulta importante anche per la gestione del dolore fetale e per il trattamento dei neonati prematuri. 

La teoria del Protomentale di Antonio Imbasciati esprime proprio il fatto che attraverso i processi somatici prenatali il corpo della madre guida l’organizzazione somatopsichica del figlio: le primitive tracce mnestiche della vita prenatale sono le matrici delle prime rappresentazioni mentali di un individuo.

Da tutto ciò è chiaro come sia fondamentale per la nascita biologica e psichica di un individuo:

  • accompagnare con dolcezza i genitori a prendere consapevolezza del loro percorso, dalla gravidanza al puerperio;
  • sostenerli nelle loro scelte, offrendo tutte le informazioni necessarie (soprattutto nel momento del travaglio e del parto);
  • offrire i mezzi per costruire le basi di un rapporto di qualità già da prima della nascita, per accogliere il “bambino della notte” (citando la Finzi) ovvero quello sognato, temuto o desiderato nel migliore dei modi possibili.

La nascita, infatti, al di là della sua potenza quasi mistica rappresenta un momento quasi di crisi sia per la mamma che per il bambino a livello psicofisico. Sono numerosi gli studiosi che hanno indagato le tracce mnestiche profonde che sottendono la nostra psiche, come lo psichiatra americano Grof secondo cui l’esperienza della nascita è collegata all’organizzazione della personalità. Una traccia legata all’esperienza perinatale (detta matrice perinatale) può rimanere latente e influenzare la percezione e l’elaborazione della realtà. Fu lo psicologo americano Chamberlain nel 1998 grazie a ipnosi simultanea di madri e figli a distanza di due/tre anni dal parto, a raccogliere le testimonianze che provano i ricordi della nascita. Il corpo non dimentica, per questo i giochi psicomotori e i disegni liberi sono tecniche usate dagli specialisti per rievocare le memorie perinatali della nascita e persino della vita intrauterina. Numerose sono le prove del fatto che il nascituro è un essere senziente e va trattato come tale, con gentilezza e parsimonia.

Per concludere, mettere al mondo un essere vivente non è una scelta scontata, specialmente nella società odierna: questo porta a sottolineare la differenza tra genitorialità e generatività, tra accudimento psico-emotivo e aspetti generativi.

È importante orientare lo sguardo verso un nuovo concetto di famiglia e creare nuovi strumenti in grado di comprendere meglio i meccanismi che la sottendono, per mettere al centro le scelte soggettive dei genitori e fornire loro il supporto migliore. Anche per questo motivo è fondamentale rivolgersi al papà e alla famiglia, oltre che alla mamma: un genitore diventa tale grazie al desiderio e all’amore nei confronti del proprio bambino che lo spinge a prendersene cura e ad assumere le proprie responsabilità, come ha scritto Massimo Recalcati in un recente articolo.

Anche Winnicott scrisse che “i figli nascono quando sono pensati”, a questo proposito alcune tribù come quella africana degli Himba tramandano la tradizione di una canzone che “viene alla mente della mamma” dopo il concepimento, quando ancora il figlio è un pensiero: questa canzone viene insegnata al papà, alla famiglia e al villaggio affinchè sia recitata durante la gravidanza, il parto ma anche successivamente in ogni momento importante della vita, affinchè possa fargli tenere a mente la sua identità e le sue radici.

Un concetto importante della genitorialità è quello della differenza: il legame tra un genitore e un figlio è un rapporto squilibrato: il genitore sa che amerà per primo, che dovrà insegnare al figlio cosa vuol dire amore e almeno finché questo non succederà, dovrà amare di più. L’amore non è possesso e il rapporto col figlio inizia proprio con l’accettazione della libertà dell’altro, di un’identità distinta dalla propria: la genitorialità diventa quasi un incentivo per transitare dall’individualismo narcisistico a forme comunitarie di vita che possono rendere le persone migliori.

I genitori sono persone, non esiste un genitore perfetto come non esistono persone perfette: l’amore stesso che ci permette di esistere ci rende fragili, ma è sempre l’amore che ci permette di adattarci, di reagire e di essere la versione migliore di noi stessi.

Un figlio ha bisogno di essere accolto dall’amore genitoriale, così com’è nella sua essenza, per formare la propria identità: tutti abbiamo bisogno di sapere di essere amati.

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