La solitudine della tecnologia
- Novembre 24, 2025
- di
- Daniele Santarosa
Sono nato nella metà degli anni Ottanta del secolo scorso, nel pieno dell’evoluzione tecnologica. Ho iniziato a guardare i film in vhs, oggi siamo arrivati ad avere delle schede di memoria che si fa quasi fatica a tenere tra due dita, i film li guardiamo “in digitale” ed anche le nostre vite sono diventate digitali, virtuali, così come buona parte dei lavori, soprattutto nell’ambito dei servizi, in cui la tecnologia è sempre più preponderante.
Ricordo tempi in cui frasi come: “devo andare in banca” o “devo andare in posta” o “devo andare dal medico” avevano un valore quasi sacro. Andare presso questi luoghi o persone (ad esempio) era un impegno, quasi un rito. Si era costretti a fare la coda, a vivere delle lunghe attese in cui la gente era costretta a guardarsi negli occhi, a dialogare, alle volte anche a discutere per via del solito furbetto che cercava di saltare la fila.
Eppure io ricordo quei tempi con nostalgia. C’era interazione! C’era vita!
Poi sono arrivati i fax con il loro suono inconfondibile, poi le e-mail, silenziose e rapide, e poi il COVID che con la forzatura di dover stare in casa ha completato la cosiddetta “transizione digitale”.
Oggi seduti sul nostro divano, con il nostro dispositivo preferito tra le mani, crediamo di poter avere tutto il mondo tra le dita eppure, osservando la realtà e parlando con le persone, si avverte un grande senso di solitudine.
In alcuni ambiti si comunica con un chat bot con un nome stravagante o con un operatore telefonico che risponde dai Balcani. Le aziende sanno tutto di noi ma tu non sai con chi parli.
Dietro lo schermo di un PC si nascondono degli agnelli che si trasformano in leoni, i quali si sentono degli impuniti in nome della libertà di espressione che per via della forma telematica dovrebbe sfuggire alle normali regole dell’educazione e del Codice Penale.
Le cornette telefoniche degli uffici sono diventate degli invasi in cui fare confluire i peggiori improperi, perché tanto dall’altra parte del capo non ci sarebbe una persona ma un pezzo di plastica.
Crediamo di avere risolto i problemi delle persone in nome dell’abbattimento dei costi e dell’efficienza, ma in realtà è stata solo creata solitudine.
Il medico ci invia la ricetta medica tramite messaggistica e spesso non conosce il colore delle nostre occhiaie o il valore della nostra pressione sanguigna. E allora ecco che tramite l’ennesima app siamo costretti a prenotare una visita a pagamento per capire come stiamo, perché la signorina del cup dell’ASL ci risponde che dobbiamo aspettare sei mesi per una visita specialistica.
Mentre noi stiamo con la testa china a fissare lo schermo di un telefono la solitudine aumenta, e aumenta anche il profitto dell’azienda che distrae la nostra attenzione e la nostra coscienza.
Credo sia arrivato il momento di ripensare le nostre esistenze, le nostre scelte, di tornare ad essere “umani”.
Tu che leggi in questo momento posa il telefono e sposta lo sguardo. Prova a guardarti intorno. Un altro solo come te cerca qualcuno con cui comunicare guardandosi negli occhi.






