Monster e il mostro che non c’è: la manipolazione psicologica del caso Ed Gein
- Dicembre 01, 2025
- di
- Giuseppe Miceli
La serie Monster: The Ed Gein Story, ultimo capitolo del progetto antologico di Ryan Murphy per Netflix, prometteva di esplorare la mente di uno dei criminali più disturbanti della storia americana. Eppure, ciò che lo spettatore trova non è una discesa nella psiche di un uomo malato, ma una rielaborazione estetica e drammatica che confonde il delirio con la verità, e la psicopatologia con la finzione spettacolare. Dietro la patina realista, il racconto finisce per tradire i fatti storici e, soprattutto, la complessità psicologica del soggetto che pretende di raccontare.
La falsificazione del reale
Edward “Ed” Gein non è mai stato un serial killer nel senso convenzionale del termine. Gli vengono attribuiti due omicidi confermati, quelli di Mary Hogan e Bernice Worden, e un numero limitato di profanazioni di tombe femminili, circa nove, secondo i rapporti della contea di Plainfield. Tuttavia, Monster insinua l’esistenza di molte altre vittime, relazioni torbide e atti sessuali con cadaveri che non trovano riscontro in alcun documento giudiziario o testimonianza verificata. Le presunte relazioni romantiche, come quella con Adeline Watkins, vengono reinventate per dare spessore melodrammatico alla narrazione; la necrofilia, che Gein negò e che gli esami forensi non confermarono, diventa invece un elemento centrale e visivamente insistito. La serie non distingue più tra ciò che è accertato e ciò che è proiezione, trasformando un caso clinico in una leggenda grottesca.
L’uomo dietro il mito
Nella realtà, Gein non era il “mostro sadico” che la cultura pop ha edificato — ispirando Psycho e Non aprite quella porta — bensì un individuo affetto da una forma grave di psicosi paranoide e tratti ossessivo-schizoidi, cresciuto in un ambiente dominato da un’educazione religiosa fanatica e da un legame simbiotico e patologico con la madre, Augusta. Dopo la sua morte, Gein subì un crollo psicotico: le esumazioni e le mutilazioni dei corpi femminili rappresentavano tentativi di negare il lutto e ricostruire la madre perduta, in una forma estrema di dissociazione e riorganizzazione delirante del Sé. Dietro l’orrore c’è dunque una logica psichica del dolore: Gein non uccide per sadismo, ma per ripristinare simbolicamente un’unità affettiva perduta. È la follia come fallimento del lutto, non come culto della violenza.
La distorsione mediatica della follia
La serie, invece, spettacolarizza la malattia mentale riducendola a cliché visivo. La psicosi diventa erotismo disturbato, l’allucinazione si confonde con la verità storica, e la dissociazione viene rappresentata come un semplice sdoppiamento cinematografico. Questa scelta tradisce il principio fondamentale della psicologia clinica: comprendere la follia non significa imitarla, ma darle senso. Il racconto visivo di Monster non entra nel mondo interno di Gein; lo osserva come un oggetto esotico, da contemplare e giudicare; si crea così un paradosso: una serie che dichiara di esplorare “la mente del mostro”, ma che in realtà parla del nostro bisogno collettivo di costruire mostri, per non riconoscere la parte disturbante che ci appartiene. L’orrore di Gein non è tanto ciò che ha fatto, quanto ciò che la società fa con lui: lo trasforma in icona, in spettacolo, in consumo estetico.
Etica del racconto e verità psichica
Nel raccontare la follia, ogni narrazione ha una responsabilità doppia: verso la verità storica e verso la verità psichica, Monster manca entrambe, sul piano storico, confonde fatti e invenzioni. Sul piano psicologico, riduce il trauma e la dissociazione a intrattenimento visivo, il risultato è un prodotto che non ci aiuta a capire nulla della mente di Gein, ma molto del nostro sguardo: la nostra attrazione morbosa per il male, la nostra tendenza a esorcizzare la follia trasformandola in fiction.
Il vero “mostro”, forse, non è Ed Gein, è la società che ha bisogno del mostro per sentirsi sana, e che, nel farlo, uccide una seconda volta la verità, quella storica, e quella umana.






