
La censura delle donne: tra pseudonimi maschili e anonimato
- Ottobre 06, 2025
- di
- Martina Miriello
Nella storia dell’umanità ci sono stati episodi di censura, chi ne ha risentito di più sono state le donne. Il patriarcato ha origini profonde, da ricercare sin dalle culture antiche; infatti, le donne erano spesso istruite a ruoli domestici e prive d’istruzione, le istituzioni patriarcali limitavano le possibilità di espressione pubblica. La libertà d’espressione è stata censurata, soprattutto nel secolo scorso, nella letteratura e nella storia antica.
Sin dai tempi degli antichi romani, il ruolo della donna in società è sempre stato secondario o, quasi nullo. Il sostantivo censura deriva dal latino censura (m), a sua volta derivato da censore(m). I cittadini romani erano controllati dai censori, magistrati incaricati di gestire il censimento, per poi diventare coloro che vigilavano la condotta morale del popolo.
Nei successivi secoli, la parola censura prese un significato molto più ampio, ovvero, quello di controllare o vietare la libera espressione in tutti i campi della pubblicazione. Nel Medioevo, la censura fu una delle funzioni più utilizzate dall’Inquisizione, oltre a una funzione religiosa, divenne anche uno scopo politico e militare.
Nel tempo, le donne non potevano coltivare nessun tipo di talento, soprattutto nella letteratura, generando una disparità di genere. Le scrittrici, per nascondersi dalla censura, utilizzarono pseudonimi o preferivano l’anonimato per essere pubblicate, o lette. Purtroppo, a quel tempo l’attività di scrivere era una prerogativa maschile, la letteratura fu dominata fino alla metà del XX secolo dal maschilismo.
Gli esempi più eclatanti:
- Nell’epoca dell’Ottocento le sorelle Brontë, Charlotte, Emily e Anne con i loro pseudonimi, Currer Bell, Ellis Bell e Acton Bell;
- Jane Austen: si firmava con A Lady solo per dimostrare e combattere ciò che vedeva nella donna un essere incapace;
- Mary Ann Evans: scrittrice vittoriana, usava lo pseudonimo di George Eliot;
- Mary Shelley: autrice di Frankenstein e moglie di Percey Shelley, costretta ad usare l’anonimato o la firma di suo marito.
L’utilizzo di pseudonimi maschili ha permesso a molte donne di pubblicare, ottenere il riconoscimento che meritavano e soprattutto acclamare il coraggio di opporsi. La svolta avvenne nel Novecento, quando le donne iniziarono ad assumere ruoli politici per esempio: in Inghilterra il trono venne occupato dal dopo guerra fino al 2022, dalla regina Elisabetta II. Dal 1978 al 1990 il primo ministro inglese fu una donna, Margaret Thatcher, una delle donne più famose ed importanti al mondo.
L’articolo 3 della Costituzione Italiana annuncia che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’essere donna o uomo non implica svantaggi, ma anzi, dimostra che entrambi i generi occupano la stessa scala sociale.
Oggi, la censura delle donne non è del tutto scomparsa, ma viene manifestata in altre forme. La disparità di genere è presente, soprattutto nell’editoria e nell’industria dell’intrattenimento. L’utilizzo di pseudonimi maschili non è più una pratica utilizzata, però esistono dei movimenti femministi che si battono ancora oggi per l’uguaglianza di genere.
La strada è lunga da percorrere, la storia degli pseudonimi maschili, già nel passato, era un chiaro messaggio di rivolta, rappresenta una delle parti più significative della storia della letteratura e dell’arte. Bisogna lottare per i propri diritti, per l’uguaglianza di genere e per un mondo senza pregiudizi.
Al ruolo di fuorilegge ci sono abituata. Più si cerca di imbavagliarmi, anatemizzarmi, scomunicarmi, più disubbidisco, più mi irrobustisco.
Oriana Fallaci