Fortnite e non solo: il potere emotivo nascosto nei videogiochi

Fortnite e non solo: il potere emotivo nascosto nei videogiochi

Tra ricerca scientifica e vita quotidiana, il videogioco come strumento di svago, relazione e crescita emotiva

Non sono cresciuta con i videogiochi.

A casa mia, negli anni dell’adolescenza, c’erano Pac-Man e qualche navicella spaziale che sparava ad alieni invasori. Niente a che vedere con i mondi iperrealistici che conosciamo oggi. Il mio primo cellulare è arrivato solo dopo la maturità: e dentro c’era solo il serpentello che non deve mordersi la coda.

Ricordo ancora lo Spectrum 16, comprato con i soldi vinti a un concorso letterario in terza media: con quel piccolo computer ho scritto le mie prime righe in BASIC. Giochi semplicissimi: un impiccato, una pallina che rimbalzava. Eppure mi sembrava magia.

Molti anni dopo, con una PlayStation 4 in casa (e sì, sto ancora chiedendo alla mia compagna di prendere la PS5…), ho trovato Fortnite lì, pronto, gratuito. Ho provato. E sono morta subito, appena atterrata. Chi gioca sa di cosa parlo. Poi ho imparato, piano piano, anche se resto una nabba dichiarata.

Un ragazzino delle medie che seguo una volta mi ha detto ridendo: «Mony, tu non sarai mai una proplayer». E aveva ragione. Quello che però non sapeva è che per me Fortnite non è mai stato una questione di competizione: lo uso come modo per svuotare la testa, per liberarmi dai pensieri quando la giornata diventa troppo pesante.

La verità è che so fermarmi. Quando sento che la mente fuma, spengo la console. Non gioco per accumulare tensione, gioco per lasciarla andare. Ma non tutti hanno questa stessa capacità.

Un ragazzo che seguivo ne è l’esempio. Per lui Fortnite non era solo un gioco: era l’unico filo che lo collegava al mondo. Passava da scuola a casa, e a casa non aveva molto altro. O guardava la tv o giocava. In multiplayer almeno parlava con qualcuno, rideva, si arrabbiava, faceva squadra. All’inizio sembrava un’ossessione. Poi ho capito che era la sua unica porta sociale. E lì il mio compito, come educatrice, non è stato dire “basta, spegni”, ma spiegare alla mamma che togliergli il gioco non avrebbe aiutato. La strada giusta era offrirgli alternative, esperienze nuove, e dargli limiti chiari di tempo. Perché vietare tutto? Il rischio non è il gioco in sé, ma che diventi l’unico rifugio.

Le preoccupazioni dei genitori

Accanto a queste riflessioni, non si possono ignorare le preoccupazioni dei genitori. Molti temono che i propri figli, giocando online, possano parlare con sconosciuti e cadere in situazioni rischiose. È un timore reale, e non va minimizzato. Per questo è importante non lasciare i ragazzi da soli davanti allo schermo, ma mantenere un ruolo vigile e attivo.

Essere vigili non significa sorvegliare ogni parola o imporre divieti drastici: vuol dire informarsi, mostrarsi partecipi e interessati al loro mondo, fare domande, chiedere “con chi giochi?” o “cosa vi siete detti in partita?”, esattamente come dovrebbe accadere con l’uso dei social. Il videogioco, infatti, va visto come un contesto sociale a tutti gli effetti: lì i ragazzi costruiscono contatti, provano emozioni, sperimentano relazioni.

La chiave è la presenza. Genitori, insegnanti ed educatori hanno il compito di conoscere le piattaforme, di capire quali sono i rischi e quali le opportunità, e di accompagnare i ragazzi a un uso equilibrato e sicuro. Questo non solo tutela i più giovani, ma crea fiducia reciproca: se un figlio percepisce interesse e ascolto, sarà più portato a raccontare le sue esperienze, compresi i contatti che fa online.

Cosa dice la ricerca

Anche la scienza ha qualcosa da dirci, e non sempre quello che ci aspettiamo.

  • Nessun legame diretto con la violenza reale. Uno studio dell’Università di Oxford del 2019, su più di mille adolescenti, non ha trovato alcuna correlazione significativa tra tempo passato con videogiochi violenti e comportamenti aggressivi¹.
  • Effetti minimi e temporanei. Le metanalisi mostrano che, se aumenta un po’ l’aggressività dopo il gioco, dura poco ed è spesso legata alla frustrazione di perdere, più che ai contenuti violenti².
  • Socialità e cooperazione. Ricercatori hanno osservato che titoli come Fortnite, se giocati in modalità di squadra, possono rafforzare le relazioni tra pari e stimolare comportamenti di aiuto reciproco³.
  • Regolazione emotiva. Molti autori parlano del videogioco come di una piccola “palestra emotiva”: si impara a gestire la frustrazione, a provare resilienza, a trovare strategie di problem solving⁴.

La letteratura avverte però di fare attenzione ai più fragili: chi non ha altre risorse o alternative può usare il videogioco come unica via di fuga. Ed è qui che serve accompagnamento, regole e nuove esperienze.

Riflessioni finali

E allora la domanda non è più: i videogiochi fanno bene o male? La domanda è: come li usiamo, con chi, e in che contesto?

Per chi lavora con i ragazzi – che sia da genitore, insegnante, educatore o psicologo – il gioco digitale può diventare uno strumento prezioso:

  • per osservare i ragazzi mentre giocano, capire come reagiscono a vittorie e sconfitte;
  • per ascoltare i discorsi a fine partita, dove emergono emozioni e pensieri autentici;
  • per insegnare a usare il gioco come sfogo regolato, non come fuga totale;
  • per favorire amicizie e collaborazione, mostrando che il gioco non è solo sfida ma anche costruzione di legami.

Il compito non è vietare, ma accompagnare. Dare regole, proporre alternative, ma anche riconoscere che il videogioco è un linguaggio emotivo e relazionale che appartiene ai ragazzi di oggi.

I videogiochi non sono solo schermi. Sono specchi delle emozioni.

Se guidati con consapevolezza, possono insegnare resilienza, cooperazione e rispetto.

La sfida è tutta nostra: imparare a trasformarli da rischio a opportunità di crescita.

Note

  1. Przybylski A. K., Weinstein N., Violent video game engagement is not associated with adolescents’ aggressive behaviour: evidence from a registered report, London 2019.
  2. Ferguson C. J., Video games and youth violence: a prospective analysis, New York 2018.
  3. Coyne S. M. et al., Playing Fortnite predicts stronger peer relationships in boys, London 2021.
  4. Reinecke L., Games at work: The recreational use of computer games during working hours, New York 2009.

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