
Sappiamo ancora avere fede?
- Giugno 30, 2025
- di
- Valerio Cavriani
L’ elezione del nuovo pontefice mi ha portato a chiedermi se noi, oggi, sappiamo ancora spiegare cosa vuol dire avere “fede”. Viviamo in una società dove i valori del mondo tradizionale sono messi costantemente in discussione, smontati, analizzati e riassemblati con una velocità impressionante, resa possibile dal progresso tecnologico e dai nuovi mezzi di comunicazione digitali.
“We think too much and feel too little[…] More than cleverness we need kindness and gentleness. Without these qualities, life will be violent and all will be lost…”, sono le parole contenute nel famoso speech di Charlie Chaplin ne “Il Grande Dittatore” (1940): un grido, alle porte del secondo conflitto mondiale, per ricordarsi di come sia nelle mani degli uomini, e di nessun altro, la capacità (e il dovere) di costruire un mondo migliore.
I valori della vita cristiana sono stati il collante sociale di tutta la società occidentale dal Medioevo al XX secolo, il rifugio sicuro dell’essere umano di fronte ai mali del mondo.
Nella società novecentesca, secondo sociologi come Georg Simmel ed Emile Durkheim, la religione rimaneva l’unico elemento portante della vita di gruppo, unica difesa contro la frammentazione culturale e l’anomia della modernità, imposti dalla massificazione del mondo.
Ma, già negli anni Settanta, Richard parlava di come la secolarizzazione aveva gradualmente portato all’oblio della religione nella società del dopoguerra; sicuramente, nel mondo contemporaneo, si osserva una decadenza del sentimento religioso tradizionale, come almeno lo ha conosciuto chi ha vissuto l’ultima frazione di vecchio millennio.
Dico sentimento religioso tradizionale per un motivo ben preciso: l’uomo non è in grado di vivere socialmente senza precisi modelli di comportamento da seguire, ha bisogno di sentirsi parte di una comunità, di un gruppo, ha necessità di qualcosa in cui credere e in cui riporre le proprie speranze.
La fede in Dio, basata su principi teologici e metafisici, è stata in gran parte surclassata dalle nuove credenze della società digitale, che sono perfettamente percettibili a livello sensoriale. Le divinità di Instagram, di Facebook e di Internet appartengono al mondo reale, vivono il nostro secolo, sanno guidarci e farci emergere, o almeno ce lo fanno credere, nella società dell’apparenza, dove non è accettabile essere uno qualunque.
E quello di divenire famosi, di “avere gli occhi addosso”, di essere ammirati, è il loro personale miracolo, al quale tutti, consciamente o meno, aspiriamo, in qualche modo.
Ma la strada per raggiungere questo scopo è tortuosa, ed è caratterizzata dall’egoismo, dall’individualismo, dalla denigrazione e dallo schiacciamento dell’altro.
La celebrazione religiosa, che rappresentava un momento di riflessione collettiva sulla vita e sui valori di fratellanza e solidarietà, ha perso totalmente la sua attrattività, divenendo, per molti, un evento a cui si è obbligati, socialmente ed eticamente, a partecipare in occasione di una ricorrenza, salvo trovare le scuse più accettabili per assentarsi.
Non abbiamo più bisogno della parola di un pastore o di una guida, quando abbiamo a disposizione, sul web, qualsiasi tipo di informazione alla quale possiamo attingere, non rendendoci conto, spesso e volentieri, di trovarci solamente in una cosiddetta echo chamber dove, alle nostre domande e insicurezze, risponde un algoritmo appositamente programmato.
Siamo ormai di fronte, quindi, a un superamento della fede nella vita quotidiana? Sicuramente sì, se consideriamo la fede nel senso di totale ispirazione al contenuto delle Scritture; lo stesso Tommaso D’Aquino sosteneva che “quando la fede non coincide con la ragione, bisogna astenersi dal dare ragione alla fede”; sulla scia del pensiero tomistico, quindi, si può affermare che, in una società dove la fede nell’esistenza di un essere superiore perde consensi, è altresì necessario mantenere viva la sensibilità umana verso i valori di un mondo giusto ed equo, dove la solidarietà tra individui e la fratellanza continuino a farla da padroni, indipendentemente dal credo religioso.
È indispensabile continuare a pensare, ma anche ritornare a “sentire”. Del resto, fede e religione, spesso associati, non sono sinonimi: la religione, dal latino religio, è una dottrina, la fede, dal latino fides è fiducia, che possiamo intendere come speranza nel futuro. Siamo liberi dall’astenerci di professare una religione, ma è indispensabile continuare ad avere fede; diversamente, a 80 anni di distanza, è quanto mai attuale il pericolo contenuto nelle parole pronunciate da Chaplin.