Il ‘Filo’ che unisce

Il ‘Filo’ che unisce

Oggi la luce sembra che non ci sia.

Ho appena alzato le tapparelle di questo nuovo ufficio comunale, nel pieno centro di una città industriale, triste e fredda. Il grigio del cielo è così intenso, che non da spazio ad immaginazione.

Portare un po’ di luce con un filo colorato. Ecco la mia missione del giorno.

Preparo i gomitoli di lana, di cotone, gli uncinetti e piccoli oggetti di legno e polistirolo, dove si può ricamare intorno e li posiziono sui piani di lavoro, come se stessi apparecchiando una lunga tavola natalizia. Ci metto il cuore e il calore che posso.

Il tè caldo al profumo di menta riscalda la stanza, la musica meditativa, rende l’ambiente confortevole.

Creo uno spazio che sia per le ‘mie’ donne accogliente, uno spazio fuori dal tempo. Dove ci si possa fermare per due ore, dimenticare e al contempo sognare nuove possibilità.

Due ore sono davvero poche per creare uno spazio di luce in una giornata così grigia. Due ore sono quello che ho, è la mia finestra di luce.

E lentamente arrivano.

Nadira, con il velo nero che le fa da cornice, con un berretto colorato che esalta i suoi occhi scuri. Curata, gentile e un sorriso infinito. Piena di entusiasmo solo per essere lì, avere uno spazio per sé. Marocchina di origine, vissuta in Spagna per tanti anni e ora, da dieci anni in Germania, una terra che ti offre tanto e al contempo ti limita.

Pochi minuti e la sala si riempie.

Saema, bionda senza velo, magra e con il viso triste, affaticata da suo corpo che non è un buon alleato, ma con un amore incredibile per il ‘filo’. Ora ha un momento per sé.

Accolgo ognuna di loro senza giudizio, rispettando la loro forza e la loro cultura, la loro storia, con un sorriso e un abbraccio.

Osservo gli occhi di queste donne incredibili, quelli verdi e profondi di Sulina che viene dal Pakistan e aiuta le altre donne ad integrarsi, non si risparmia mai, insegna anche l’inglese, qui dove riuscire a parlare una base di tedesco, è una delle missioni più difficili.

Fati, algerina, che ha una pelle bianca come l’avorio e una fame di conoscenza e d’inclusione incredibile, i suoi abiti sono sempre costellati di smerigli dorati. Il suo tedesco è quasi perfetto.

Romina, turca di origine, che parla pochissimo tedesco e ha vissuto in Italia dove ha lasciato un pezzo del suo cuore. Ha una bambina piccola, che deve portare sempre con sé, non c’è un posto in asilo per la sua piccola. Ha avuto la forza di lasciare il suo uomo, molto più grande di lei che non la rispettava e lei ha una rabbia e una forza incredibile. È da sola in una terra difficile, con una bambina piccola e non conosce la lingua. La sua comunità di origine in Germania è grande, ma il giudizio è senza pietà per una storia come la sua.

Le donne che giungono da altri paesi, in questa città industriale e fredda, spesso sono sole. Hanno la famiglia, i figli, ma la solitudine che osservo nei loro occhi è infinita.

Adeguarsi alle regole della comunità di origine, che ti accoglie in terra straniera, adeguarsi alla comunità tedesca, alle regole occidentali. Adeguarsi al nuovo modello femminile che incroci quotidianamente per strada.

Le donne tedesche sono libere, fiere, indipendenti. Ricoprono ruoli sociali su tutti livelli, sono attive nella politica, nel sociale, sono imprenditrici, madri e mogli. Difficile modello da imitare per certi aspetti. Ma sono un grande esempio da seguire per molti altri.

Integrarsi e onorare le proprie origini. Questa è una missione difficile, soprattutto quando le origini sono pesanti e difficili da gestire.

E poi arrivano donne siriane, curde, etiopi, donne di cui non ricordo il nome, che provano a condividere due ore di creatività e poi non tornano, non ci riescono. La vita in Germania è difficile e due ore di libertà sono troppe. Ricordo sempre i loro sguardi.

E questi occhi multicolore e pieni di curiosità mi osservano e si chiedono cosa potrà accadere con tutti questi fili che già non conoscono.

Il filo dell’unione. In ogni famiglia c’è stata una donna che cuciva che tesseva, che lavorava a maglia o ad uncinetto. Non ho incontrato donna, che non abbia nella sua storia una tessitrice.

E si parte da lì. Dalla storia. Dai dai vari modi di tessere, dalla cultura. E si parla in tedesco a volte inglese, spagnolo e italiano. Ogni parola, ha il peso dell’aria leggera. Ogni parola è una finestra di luce in questa giornata grigia.

E il nostro incontro non è fatto solo per imparare un’antica arte, è dono, è creatività.

Lentamente con grande tatto, guido le donne a provare a fermare i pensieri, le fatiche della mente, a sospendere le preoccupazioni. Ad usare l’uncinetto come se fosse un pennello, dove tessere è dipingere, dove ogni punto è un dono e un atto di amore.

Ecco la parola magica che unisce tutte le culture e le donne vibrano. Sì, non sarà mai fuori moda, l’amore.

La forza che ha spinto ognuna di queste donne a cambiare uno, due o tre Paesi. Andare incontro verso lo sconosciuto, per amore delle proprie famiglie, dei propri figli. Per amore della propria vita, andare via dalle guerre e dalla sopraffazione.

Amore è nel respiro, che ci ricorda che, siamo in vita ogni momento. E con tecniche di mindfullness guido le ‘mie’ donne in un viaggio di luce.

La mente si quieta.

Osservo i lineamenti che si rilassano, i sorrisi nascono sui volti e ricordano i bambini che scoprono un nuovo gusto. Smettere di essere come un pesce fuori dall’acqua che trattiene il fiato. Smettere l’apnea costante della vita.

Due ore non sono tante, ma sono una finestra di luce.

Tessere l’antica via imparando un nuovo modo. Non dimenticare la vecchia storia e onorare la nuova.

Per due ore, le donne s’incontrano, superano barriere e limiti, sorridono, si rilassano. Possono raccontare la propria storia, senza sentirsi giudicate.

Il filo colorato viene dipinto su questa tela, senza spazio e senza tempo. La magia è nelle mani di ogni donna che, con la sua storia e con la voglia di essere parte di un gruppo, si lascia guidare da un’altra donna. Di sentirsi inclusa e perché no, amata.

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