Tecnocrazia (?) Dalla bulimia del content all’inganno del tempo

Tecnocrazia (?) Dalla bulimia del content all’inganno del tempo

Sveglia! Swipe. Face ID, sorridi. Sbloccato.
13 notifiche su Whatsapp, 2 email di lavoro. Già.
«BellaVibes_96 ha risposto alla tua storia»
Sorridi ancora…
SQUILLO! «Sei stato invitato a una riunione: partecipa ora»…
Video off, microfono off.

Microfono on: «sì sì, ci sono: oggi entro pranzo, perfetto»…

Ricevo oltre 200 notifiche sullo smartphone ogni giorno, pur non facendone abuso. Per (de)forma mentis sono abituato a pensare con i numeri, per cui provo a dare qualche cifra: con un paio di conti e di ipotesi, posso sintetizzare che ricevo una notifica ogni 4 minuti nel corso della giornata. Tecnicamente, quindi, non posso mantenere la concentrazione per un intervallo maggiore di questo senza essere interrotto da qualcuno o qualcosa, magari mentre lavoro, studio, ascolto musica, aiuto un amico, diciamo semplicemente mentre impiego il mio tempo – tieni a mente questa espressione, perché ora che ti trovi su queste pagine, possiamo fare una pausa e ragionare insieme su alcune considerazioni.

Ci sono cifre anche più grosse che arrivano da un ex strategist di Google, ora filosofo, James Williams (“Scansatevi dalla luce. Libertà e resistenza digitale.” ed. Effequ, 2023): nel suo libro egli afferma che mediamente tocchiamo i nostri smartphone almeno 2.600 volte al giorno e che, una volta distratti, impieghiamo circa 23 minuti per riprendere lo stesso livello di concentrazione… In pratica non siamo mai liberi di essere veramente concentrati, siamo condannati alla superficialità e, soprattutto, investiamo molto meno nelle nostre capacità, necessarie alla nostra realizzazione.

Certo, il telefono si può spegnere, ma… in effetti, non capita anche a te quella sensazione sgradevole quando stai per “disconnetterti”? Quel brivido leggero, come fosse un piccolissimo balzo nel vuoto, mentre hai l’impressione di lasciare il controllo? Non un dramma, intendiamoci – il mondo va avanti anche senza me e te, così come anche noi sopravviviamo disconnessi – ma sono certo che riconosci il tipico sintomo che si manifesta con quel pensiero sottile: «e se mi cerca qualcuno?»…

Focalizziamoci su questo: posto che le disconnessioni considerate non sono mai di lungo periodo, perché dovrebbe essere un problema non essere disponibile per qualcuno in quel preciso momento? Secondo me per paura: la paura che la persona che ci cerca, nel momento in cui lo fa e non ci trova, non ci aspetti; in effetti, con ogni probabilità non lo farà. Non aspetterà, perché – come noi – è ammalata di velocità: pochi secondi, skip. Avanti un altro. Ed è subito fretta (semicit).

Una disgrazia per l’essere umano, o meglio per l’essere umani

Per me poi, che sono lento di natura, è proprio un dramma. Vivere in un contesto in cui la velocità è un valore fine a sé stesso è faticoso, vado subito in affanno. Fun fact: possiedo l’arte di contornarmi di persone che della velocità fanno uno stile di vita. E le amo. «Presto ch’è tardi!». Chissà per cosa, poi… Semplicemente hanno fretta. Sempre. Adorabili… A volte pare anche che abbiano uno scopo condivisibile (come ad esempio l’essere puntuali), ma credo sia un fatto di pura statistica: se ho sempre fretta, ci sarà anche il momento in cui avrò ragione di averla, tutto lì.

Ma torniamo a noi: il paradosso è che teniamo in mano un dispositivo che ci dà la sensazione di controllare tempo, contesto, produttività, relazioni, mentre ci avvelena – e con molta ironia lo fa lentamente. Ci infetta con quella frenesia che è data dal bisogno di una sempre maggiore velocità, alimentando un pensiero costantemente distratto e quindi sempre meno capace di fermarsi e scendere in profondità. Il reel è l’emblema imperante di questa isteria di massa, una moderna bulimia di contenuti: ingurgitiamo, sentiamo quella piccola gratificazione momentanea e poi la vomitiamo più affamati di prima, in un circolo vorace che diventa un sottile – ma continuo – rosicchiare tempo alle nostre vite. Andiamo sempre più veloci, per essere sempre più produttivi, informati, connessi con tutti, come se, impiegando meno tempo per fare qualsiasi cosa, potessimo in qualche modo vivere di più: forse più a lungo, di certo più intensamente… In realtà, distraendoci, questo fuoco amico ci porta ad abbassare la mira, allontanandoci da obiettivi più ambiziosi per noi stessi. Ed è qui che ci accorgiamo di aver raggiunto un altro livello: non siamo più di fronte ad una bulimia di contenuti, ma ad una sete di esperienze.

Senza fermarci alla superficie, quindi, stiamo scoprendo che forse, alla base dello sconvolgimento che l’avanzamento tecnologico ha introdotto nelle nostre vite, non c’è un “famelico mondo digitale che tenta di prendere il sopravvento”, ma un bisogno totalmente umano di vita: nel tentativo di vivere di più, sperperiamo il nostro tempo, che è limitato. È proprio questo che rende davvero pericoloso il rapporto con la tecnologia digitale: non solo il problema di qualcuno che per sua propria fragilità è soggetto a cadere in dipendenze conclamate, ma il problema di tutti, di ciascuno di noi; ci rapportiamo ad uno strumento che consideriamo un mediatore della relazione tra noi stessi e la nostra vita esperienziale, scommettendo sulla sua capacità di rendere tale dinamica più immediata.

Prova a pensarci più approfonditamente… lentamente… Di certo ora ci hai fatto caso.

Per mediare si deve stare nel mezzo, ci si deve di fatto interporre tra le parti: da quella posizione poi, quanto è facile diventare ostacolo piuttosto che agevolazione? Separare, piuttosto che avvicinare? È davvero un attimo – veloce come un attimo.

Tirando un po’ le somme, avevo detto di tenere a mente il concetto di come impieghiamo il tempo, ricordi? Ecco, il punto della situazione per me sta in una domanda: quale pensi sia il modo migliore di impiegare il tuo tempo? Entrando più nello specifico: che ruolo pensi che la tecnologia possa avere in questo? Ti facilita, amplificando la tua connessione col mondo e con le esperienze? Oppure ti distrae, ostacolando il tuo libero pensiero per poi trascinarti in una gara con il tempo stesso?

La mia risposta è personale: come ti ho già detto, sono lento e – lentamente – ho scoperto che la lentezza serve per contemplare la bellezza… oltre che per coltivarla. Guarda alla natura: non mi vengono in mente cose che accadono in modo veloce e che siano un bene per noi; gli eventi repentini sono in genere sconvolgimenti, calamità. Una farfalla che si prepara nel suo bozzolo invece, un fiore che sboccia, una montagna che viene scolpita dall’acqua e dal vento, una nuova vita che viene alla luce, un amore coltivato per anni… La bellezza chiede tempo, costa tempo: forse possiamo addirittura spingerci ad affermare che il tempo è la moneta necessaria per “acquistare” bellezza; infine, voglio credere che esso è proprio ciò che dà alla bellezza il suo valore. Le esperienze a buon mercato, quando la moneta è il tempo, lasciano il tempo che trovano.

Questa però è solo la mia risposta; per dare la tua, prenditi pure tutto il tempo.

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