Sono solo parole. Sessismo: tra il dire e il fare…

Sono solo parole. Sessismo: tra il dire e il fare…

Il famoso detto “tra il dire il fare” sembra descrivere benissimo l’atteggiamento socio culturale che caratterizza la maggioranza della società moderna nei confronti della relazione tra sessismo e parole, quasi come se queste ultime avessero un ruolo marginale.

Viviamo in un mondo in cui le relazioni sono la via maestra per raggiungere traguardi in qualsiasi ambito. E come è noto a tutti quest’ultime sono sorrette e possibili grazie al linguaggio scritto e parlato.

Nel 2024 avere un milione di follower può garantirti un riconoscimento all’interno della nostra società

predominante rispetto ad un conto corrente in banca con le stesse cifre.

Le parole non sono rilevanti, almeno apparentemente, eppure ad oggi possono raggiungere con un solo clic l’intero globo ad una velocità impressionante influenzando milioni di persone… Eppure la loro potenza sembra essere costantemente sottovalutata.

Il lavoro più diffuso ed ambito dai giovani di oggi è l’“influencer” che attraverso le parole condiziona il nostro modo di vivere, vestirci, definirci… eppure ancora riteniamo che il modo in cui ci esprimiamo non sia così rilevante…

Con le parole si sanciscono contratti, unioni, società e leggi; grazie ad esse creiamo categorie e apponiamo etichette.

Con le parole identifichiamo e stabiliamo ruoli sociali.

Ma se le parole sono in grado di fare tutto questo, la vera domanda è:

Esistono davvero parole adatte per ciascuno di noi? Perché i sostantivi femminili vengono cosi trascurati? Parole e cultura sono figlie dell’UOMO.

Non ci si riferisce all’essere umano ma all’uomo di genere maschile.

Ci fu un tempo in cui erano gli uomini a comandare, a scrivere la storia e a determinare le leggi.

Ne parliamo al passato, ma è davvero così remota l’idea del mondo in cui l’uomo è davanti alla donna? Se le parole dicono il vero…se ancora oggi alcuni sostantivi femminili non esistono o non sono comuni, forse è meno passato di quanto non si pensi.

Siamo in un secolo dove saper usare le parole giuste può fare la differenza; possiamo quindi asserire che il loro utilizzo rappresenta a tutti gli effetti un’arma molto potente, che diamo per diritto umano a tutti coloro che abitano il pianeta.

Se però tutti gli esseri umani comunicano attraverso le parole allora diventa imprescindibile il loro corretto utilizzo.

Le parole scritte o parlate profumano di storia cultura e innovazione. Sono di fatto il veicolo di idee e soluzioni o riconoscimenti e proprio per questo, in un mondo che cambia, anche le parole devono necessariamente subire un processo di riadattamento e non si può che partire da questo per costruire un mondo nuovo in cui uguaglianza, libertà e fratellanza non siano, per l’appunto, solo parole.

Alla luce di quanto detto diventa sempre più chiaro il ruolo che il nostro modo di comunicare può avere sul fenomeno del sessismo.

In che modo le nostre parole impattano?

Per approfondire il tema dobbiamo necessariamente indagare la relazione fra comunicazione e stereotipi di genere.

È facile (troppo facile) cadere in trappole di comunicazione sessista implicite che di fatto innervano il nostro modo di esprimerci.

Ad esempio, nell’annunciare Andrea Ghez, una delle vincitrici del Nobel per la fisica, varie testate giornalistiche hanno evidenziato che la studiosa è mamma e nuotatrice: diventa evidente una sorta di divertito stupore di fronte una scienziata che vince un premio così prestigioso nonostante il suo essere donna.

Essere donna in un mondo fatto di parole e stereotipi maschili è uno svantaggio da ogni punto di vista.

E finché non si comincia a sradicare il problema dalle sue radici di matrice culturale a nulla serviranno i grandi sacrifici e importanti traguardi che molte donne nella storia stanno offrendo con immenso coraggio e determinazione.

Questo perché basteranno una manciata di parole macchiate di velato sessismo per togliere quel valore che è indipendente dal genere e renderlo una straordinaria eccezione… che dunque conferma la regola.

Addentrandoci sempre più in profondità nella nostra lingua vediamo come il sessismo e le differenze di genere si insinuano nel nostro quotidiano in modo subdolo.

Pensiamo alla parola MATRIMONIO che dall’etimologia latina “mater, munus“ significa dovere di una madre e alla parola PATRIMONIO che sempre dal latino significa ”pater, munuscompito del padre; ecco come la discriminazione di genere si manifesta ogni giorno nelle nostre vite, delineando ciò che la società si aspetta da una donna o da un uomo.

Ecco come, mentre da una parte si grida all’inclusione, dall’altra ogni giorno delineiamo sottovoce e con parole apparentemente innocue, confini invisibili e distanze invalicabili tra uomini e donne, definendone ruoli sociali e dando vita a pregiudizi a discapito del genere femminile.

Non si può quindi pensare di cambiare il mondo né di scrivere una nuova storia se prima non impariamo ad usare nuove parole che permettano davvero il cambiamento dalle sue radici.

Le parole sono come pietra” così Carlo Levi scolpisce il concetto che esse rappresentano: una parola è azione, un’azione produce un cambiamento. Non possiamo dimenticarci questo.

Tra il dire il fare, non c’è il mare, come dice la tradizione popolare, ma può esserci la volontà: la volontà di pesare ogni singola parola affinché ogni essere umano del pianeta possa beneficiare del suo immenso potere.

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