Una Linea chiamata Cadorna

Una Linea chiamata Cadorna

Il nome Cadorna richiama immediatamente il generale Luigi Cadorna, il tanto discusso Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale.

A Cadorna sono state intitolate vie, piazze, edifici ed anche una linea di fortificazioni (tecnicamente detta Frontiera Nord o, per esteso, il sistema difensivo italiano alla Frontiera Nord verso la Svizzera) che si sviluppa dalla Valle d’Aosta alla Valtellina (ormai in disuso).

Con questo articolo si racconta la storia della “Linea Cadorna” e leggendo fino all’ultimo si capirà che queste fortificazioni militari non sono del tutto attribuibili a Luigi Cadorna.

Come mai l’Esercito italiano sentì l’esigenza di costruire delle fortificazioni militari a ridosso della Svizzera, un paese storicamente neutrale? La storia insegna che nel maggio del 1800 le truppe napoleoniche scesero dal Passo del Sempione, quasi indisturbate, attraversando la Val d’Ossola e raggiungendo le pianure piemontesi e lombarde dando poi vita al Regno d’Italia di creazione napoleonica.

Se la Svizzera poteva non essere un pericolo diretto per il giovane stato italiano unitario alla fine dell’XXIX secolo, dalle valli svizzere sarebbero potuti penetrare, invece, i francesi, i tedeschi o gli austriaci, mettendo in pericolo le pianure lombarde con le relative industrie.

La progettazione del sistema di difesa iniziò nel 1899 e, sebbene lentamente, la creazione dei manufatti bellici andò avanti fino alla vigilia della “grande guerra”. Cadorna divenne Capo di Stato maggiore dell’Esercito solo nel luglio 1914, pertanto l’espressione “Linea Cadorna” è impropria. Alla diretta emanazione di Cadorna si può attribuire l’individuazione e la scelta di alcuni punti strategici della zona Toce-Verbano e l’avanzamento spedito dei lavori in virtù del conflitto mondiale in corso, ma non la concezione e la progettazione in toto di questa linea difensiva.

La frontiera italo-svizzera venne divisa in 6 settori: Toce-Verbano, Verbano-Ceresio, Ceresio-Lario, Mera-Adda, Valle d’Aosta.

Una stima dell’opera cita: 72 km di trincee, 88 postazioni di artiglierie (11 in caverna), 25.000 metri quadrati di baraccamenti, 296 chilometri di strade e 398 chilometri di mulattiere, per un costo di oltre 105 milioni di lire (circa 150 milioni di euro odierni) e il contributo di 40.000 uomini.

Questo complesso di opere non venne mai effettivamente utilizzato in teatri operativi bellici. Le fortificazioni, all’inizio della guerra, vennero presidiate ma ben presto, e in particolare dopo la disfatta di Caporetto, la linea venne abbandonata.

Le fortificazioni della Frontiera Nord furono molto innovative e si differenziarono non poco dai metodi costruttivi in vigore fino ad allora. Per questo, a oltre 100 anni di distanza, molte di quelle trincee e di quei presidi sono arrivati fino a noi in ottime condizioni.

Era veramente necessario costruire queste fortificazioni? Dato il cambiamento di alleanze da parte dell’Italia alla vigilia della guerra viene da rispondere affermativamente. Il pericolo di uno sfondamento tedesco attraverso il Canton Ticino fu reale tra il 1916 e il 1917, anche se non imminente. La Linea nel 1917 faceva la sua bella figura dal punto di vista tecnico anche se non servì praticamente a niente. Non un solo colpo partì da quelle trincee né quelle costruzioni in calce struzzo furono colpite. Le uniche battaglie in cui la Linea fu coinvolta arriveranno molto dopo, nel bel mezzo della fine della Seconda Guerra Mondiale, il 13 settembre 1943, quando fra i bunker del monte San Martino scoppiò il primo conflitto fra la Resistenza, nel caso specifico un gruppo partigiano della Valcuvia, e l’esercito tedesco. Un altro episodio si registrò in Val d’Ossola, nell’ottobre 1944, durante il periodo della “Repubblica dell’Ossola”.

Il Trattato di Pace del febbraio 1947 decretò lo smantellamento delle opere del Vallo Alpino, effettuato in realtà solo nei confronti delle fortificazioni del Settore Alpi Occidentali. Le rimanenti opere difensive entrarono a far parte del piano di difesa del Patto Atlantico del 4 aprile 1949, predisposto per fronteggiare il blocco sovietico, che restò in auge fino alla caduta del muro di Berlino.

Oggi fa quasi sorridere l’idea che la Svizzera possa attaccare l’Italia o che dal territorio elvetico possano transitare altri eserciti europei dato che, per fortuna, l’Europa è diventato un continente pacificato e con istituzioni sovranazionali che ne garantiscono la pace e l’armonia, favorendo la cooperazione internazionale; eppure, cento anni fa si scavavano trincee, gallerie nelle montagne e si creavano camminamenti e strade per affrontare un nemico che rimase invisibile. Per paradosso, lungo la linea Cadorna il più grande sacrificio umano è stato quello delle maestranze (civili e militari) che a centinaia hanno lasciato la pelle per costruire in fretta e furia le fortificazioni.

Comunemente si crede che per capire cosa fu la Prima Guerra Mondiale bisogna andare in Trentino, in Friuli, là dove c’erano i fronti caldi. Invece, a un’ora o poco più da Milano, è possibile visitare dei sentieri di guerra che oggi sono diventati preda degli escursionisti di montagna, da sentiero di guerra a sentiero di pace.

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