Processo a Gesù

Processo a Gesù

Siamo nel pieno della Quaresima, tra non molto sarà Pasqua e per motivi teatrali (sono un attore teatrale a livello amatoriale), sto affrontando il testo “Processo a Gesù”, scritto da Diego Fabbri tra il 1952 e il 1954.

È possibile fare un processo a Gesù nel XX secolo secondo la logica e la concezione giuridica del diritto contemporaneo? A questo interrogativo ha cercato di dare risposta Diego Fabbri con questo testo teatrale rappresentato per la prima volta nel 1955 per la regia di Orazio Costa; l’opera venne accolta con qualche mal di pancia e sommo dispiacere dell’autore, profondissimo credente: la sua opera venne denunciata al Sant’Uffizio per “offesa alla religione e all’odio sociale”.

L’idea nacque in Fabbri dal processo “politico” che un gruppo di giuristi anglosassoni aveva fatto nel 1933 a Gerusalemme e che si era concluso con l’assoluzione di Gesù. Da tale spunto l’opera di Fabbri divenne un’indagine serrata ed emozionante su una società che aveva perso la speranza della salvezza, la fiducia nei propri valori, soprattutto la fiducia nella condivisione e nell’amore, rifugiandosi nell’individualismo e nell’edonismo.

Attraverso un dibattito serrato e polemico, i personaggi, che portano nomi biblici come Elia, Rebecca, Sara e Davide, esplorano temi profondi legati alla fede, alla giustizia e alla responsabilità umana.

Il dramma si distingue per la sua struttura innovativa, che coinvolge il pubblico direttamente nella narrazione. Gli attori interpretano figure storiche come Caifa, Pilato, Maria di Nazareth, Giuseppe, Maria Maddalena e perfino Giuda Iscariota, ma anche personaggi moderni che portano le loro riflessioni personali su Gesù e la cristianità.

Questo approccio crea un dialogo intenso tra il livello giuridico e quello umano, offrendo una prospettiva unica sulla figura di Cristo e sul suo impatto nella società contemporanea.

La visione cattolica del drammaturgo non ha nulla di consolatorio e pietistico, ma nasce e si nutre della drammaticità di Dostoevskij, di Pascal, di Manzoni, e dei grandi scrittori francesi come Bernanos, Mauriac, Péguy, Claudel; Fabbri arriva a realizzare, in quest’opera come in molte altre, il documento di un’epoca confusa ed inquieta, dove l’uomo tanto più sente il bisogno di Dio quanto più se ne allontana, cercandolo, per paradosso, per tutte le strade possibili, dagli amori disordinati alle esperienze angoscianti, fino alle improvvise folgorazioni del soprannaturale.

Dal punto di vista tecnico Fabbri si ispira al teatro pirandelliano, utilizza il “teatro nel teatro”.

Già dall’incipit, una didascalia esplicita, si respira l’influenza di Pirandello: “Quando gli spettatori entrano in teatro trovano il sipario già alzato e un inserviente che mette a posto la scena dove si svolgerà la rappresentazione. Si tratta di una scena estremamente semplice: una stanza nuda, con un finestrone e due porte. Un tavolo in mezzo coperto da un panno rosso, e cinque sedie dalla spalliera alta. Qualcuno dei manifesti che hanno già dato al pubblico l’annuncio dell’avvenimento, è attaccato anche dentro il teatro, ai lati del boccascena e sui palchi di prima fila. I manifesti dicono: ‘Stasera – il pubblico è invitato a partecipare al Processo di Gesù – L’ingresso è libero a tutti’; e in fondo, stampato più piccolo, ma ben leggibile: ‘Autorizzato dalla Questura’”. 

Il pirandellismo di “Processo a Gesù” è connaturale all’idea che ha Fabbri di una ricerca sofferta, piena di contraddizioni, sospesa tra verità e finzione dell’incontro con Gesù, un incontro che avviene sul terreno dell’amore, l’unico sul quale tutti si ritrovano senza distinzione di cultura e di fede. Solo su questo terreno gli uomini possono trovare quella comunione che è l’unica a sottrarli ai rischi e alle paure della solitudine.

L’opera di Fabbri è un’indagine emozionante su una società che ha perso la speranza e la fiducia nei propri valori, rifugiandosi nell’individualismo. La conclusione amara del dramma sottolinea la complessità del rapporto tra l’uomo e il divino, rendendo “Processo a Gesù” un’opera di grande rilevanza culturale e spirituale.

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