
Adolescence: quando l’illusione del realismo diventa intrattenimento travestito da trauma
- Aprile 22, 2025
- di
- Giuseppe Miceli
Un punto di vista controcorrente
Nel panorama contemporaneo delle serie che parlano di adolescenti, Adolescence si distingue per la sua struttura formale ambiziosa (l’uso del piano sequenza) e per il suo tono cupo e disturbante. Ma dietro l’applauso collettivo alla sua “crudezza”, si nasconde un rischio molto sottile: quello di confondere lo spettacolo del trauma con la sua comprensione.
Questa serie NON PARLA davvero dell’adolescenza. Parla di uno sguardo adulto sull’adolescenza, impaurito, giudicante e spesso semplificatore. Il protagonista, non è tanto un soggetto psicologico, quanto un simbolo tragico, costruito per veicolare un’angoscia collettiva attorno al “male nei giovani”. La sua psiche viene mostrata solo attraverso esplosioni comportamentali — rabbia, ritiro, aggressività — mai come interiorità pensante, senziente, narrabile. La scuola è un campo di battaglia, gli adulti sono o assenti o complici, i pari sono carnefici o vittime.
Questo non è realismo: è determinismo drammatico, dove tutto è già compromesso e l’unico esito è la tragedia. Ma la psicologia sa che le cose non funzionano così: sa che anche nel caos ci sono ambivalenze, resistenze, micro-spazi di significato che qui mancano del tutto. La serie sembra voler lanciare un messaggio di denuncia, ma finisce per estetizzare il disagio: ogni dolore diventa fotogenico, ogni tensione viene tenuta alta come se il collasso fosse intrattenimento. È una narrazione che anestetizza mentre pretende di scuotere.
In conclusione, adolescence è una serie che molti trovano autentica, ma dal mio punto di vista potrebbe essere vista come una messa in scena ben confezionata della paura sociale dell’adolescenza, più che un tentativo sincero di capirla. Non scandalizza per ciò che mostra, ma per ciò che non riesce a immaginare: la possibilità di una trasformazione.