Un bolide rosso

Un bolide rosso

Luci calde, una sdraio da spiaggia sul palco, una bottiglia di birra in mano. Il protagonista entra in scena, si siede, guarda il pubblico, sorride come chi sta per confessare qualcosa di apparentemente banale ma profondamente umano.

L’altro giorno ero in spiaggia.
Caldo, brezza leggera, onde che facevano “shhhh” come a dire “zitti tutti, è estate”. Io tranquillo, auricolari e una Corona ghiacciata in mano, lo sguardo che vagava tra il mare e quella buffa porzione di umanità in costume. Me compreso, ovviamente!

A un certo punto, eccolo. Un bambino. Avrà avuto sì e no cinque anni. Biondo, con uno sguardo da capo cantiere.

Aveva con sé un gonfiabile a forma di macchina. Ma mica ‘na ciambella co’ le rote, no no! Una macchina. Rossa con tanto di volante e clacson, mancavano solo le frecce e il subwoofer.

E lui, orgoglioso, saliva e scendeva da quell’affare come se fosse una Ferrari. Altro che gonfiabile! Per lui era una supercar da Formula 1, il suo più bel gioco da spiaggia!

Si sedeva, girava il volante, faceva “brum brum” con la bocca e guardava tutti con l’aria di chi sta per fare il giro d’onore al Gran Premio di Misano. Nella sua testolina era già in Fast & Furious.

A un certo punto arriva lei. Una bimba. Stessa età. Tutto rosa compresi secchiello e palette, sguardo da… “che bel giochino che hai, posso?”

E lì… tragedia greca.

Appena ha messo un piedino sul gonfiabile… lui: “NO! GIÙ LE MANI DALLA MIA AUTO!”
Strattoni, urla, genitori in modalità ‘non è nostro, lo stiamo solo guardando per una coppia di amici’, insomma, imbarazzo generale.

“E io che guardavo la scena, pensavo: “Ah, l’amore.”

Perché nella mia testa, nel frattempo, era già partito il film. Tipo uno alla Woody Allen, ma con meno jazz e più sabbia nel costume. Un bel filmone, con colonna sonora e titoli di coda.

Mi sono immaginato lui, vent’anni dopo.

Stessa spiaggia.
Lui in acqua, venticinquenne, con gli amici a giocare a schiaccia sette (che a quell’età già è borderline come gioco).
Lei sul lettino, occhiali da sole, libro, chiacchiere con le amiche e risatine.
Lui la vede.
E lì, BOOM!
Non può riconoscerla, ma qualcosa lo colpisce. E io dalla mia sdraio penso “Ahh oggi sì… oggi la faresti salire sul tuo bolide.” Ma non quello gonfiabile. No, quello è in soffitta, tra un vecchio Monopoli e il pupazzo di Bing senza un orecchio. No no, parlo della sua nuova Fiat Cinquecento Abarth. Regalata dai nonni per la laurea triennale. (Che poi diciamolo: la triennale è il nuovo diploma. Però vabbè è un bel regalo… pure troppo!)

E lui, galante, le aprirebbe la portiera e direbbe: “Ti va un gelato?”
Altro che strattoni.
Altro che urla.
Solo un invito leggero, come l’estate.

Perché da piccoli gli altri bambini ci sembrano concorrenti, nemici.
E invece da grandi… be’, da grandi speriamo che vogliano salire con noi. Almeno per un gelato. O anche solo per il gusto di fare un po’ di strada insieme.

Di sicuro non si riconosceranno mai. Del resto, avevano cinque anni ed è accaduto molti castelli di sabbia fa.
Ma uno sguardo… uno sguardo può bastare.
Di quelli estivi, che non capisci da dove arrivano, ma ti fanno sorridere tutto il giorno.

E intanto…

guarda il pubblico con aria complice

Il gonfiabile a forma di macchina?
Sta ancora lì, in soffitta.
Sei troppo grande per giocarci ed è troppo vecchio per venderlo… ma soprattutto è troppo carico di ricordi per buttarlo.

Un cimelio d’infanzia.
Un bolide rosso ed una storia che, in fondo in fondo, non ha mai avuto davvero bisogno di una targa per partire, perché alla fine… si può viaggiare anche con la fantasia.

Pausa. Sorride. Si alza, prende la “Corona”, guarda il pubblico e dice:

Oh, comunque… il gelato alla fine se l’è preso da solo.
Stracciatella. Come tutti i sentimenti irrisolti.

Esce di scena.

Articolo di

×