L’arte come antidoto

L’arte come antidoto

La riconosciamo subito per la moltitudine di pois e per i colori sgargianti. Stiamo parlando di Yayoi Kusama, l’artista giapponese tormentata fin da bambina da allucinazioni visive e uditive.

L’artista nasce nel 1929 a Matsumoto, nella prefettura di Nasago. Inizia a dipingere all’età di sette anni nella sua cameretta mentre la sua malattia le fa da ponte su un mondo irreale.

Con il semplice aiuto di una matita Yayoi riuscì a trovare nell’arte un rifugio esternando quello che le sue allucinazioni le volevano far vedere. Sin da bambina l’arte fu l’alleato alla malattia che la accompagnerà per tutto il corso della sua vita: la schizofrenia.

La nostra terra è solo un pois fra milioni di stelle nel cosmo. I pois sono una via verso l’infinità. Quando cancelliamo la natura e i nostri corpi con i pois, diventiamo parte dell’unità del nostro ambiente. Io divento parte dell’eterno, e ci annulliamo nell’Amore.

L’amore per l’arte non fu una scelta condivisa dalla sua famiglia, la quale le aveva invece imposto una vita da brava moglie e casalinga. I genitori odiavano a tal punto il percorso che aveva intenzione di intraprendere la figlia da strapparle i primi lavori. Anche per questo motivo i pois sono un simbolo ricorrente nelle opere, è un elemento veloce da disegnare. 

Questo rammarico da parte dei suoi cari la spinse a trasferirsi all’inizio degli anni 50 in America,
dove finalmente ebbe la libertà di dar sfogo alla sua arte ed essere sé stessa. 

Fu proprio in America che l’artista Yayoi Kusama venne influenzata dalla pop art e dal surrealismo astratto, anche se non possiamo collocarla in nessuna corrente artistica.

Yayoi Kusama è unica, una vera outsider. 

Riuscì a conquistarsi un posto durante la 33esima edizione della Biennale di Venezia con l’esposizione Narcissus Garden, parte di una performance non ufficiale. Narcissus Garden non era altro che un mare di sfere di plastica riflettenti. Yayoi vi si trovava in piedi in mezzo con un cartello che metteva in vendita il narcisismo del visitatore: chiunque non riusciva a staccarsi dalla propria immagine riflessa nella sfera poteva acquistarne una al prezzo di due dollari.

Yayoi Kusama “Narcissus Garden” Biennale di Venezia 1966
Yayoi Kusama with “Narcissus Garden” (1966) installed in Venice Biennale, Italy, 1966© YAYOI KUSAMA. Courtesy David Zwirner, New York; Ota Fine Arts

Mi fecero fermare dicendo che era inappropriato vendere la mia opera come se fossero ‘‘ hot dog o coni gelato’’. Ma alla fine non la levarono.

Dopo aver riscontrato un particolare successo a Venezia, fece ritorno a New York dove iniziò ad esporre opere ovunque nella grande mela.

Nelle sue performance fece sfilare uomini e donne solo coperti da pois davanti alle vie della Moda, della Statua della Libertà… il suo modo di esprimersi provocò un grande scandalo e la portò ad essere molto criticata. Questa voce ben presto arrivò anche in Giappone e arrivò alla sua famiglia, la quale decise di scomunicarla in maniera definitiva. Questo provocò all’artista una grande depressione peggiorando la sua situazione psicologica. 

Dopo anni di inteso lavoro, all’inizio degli anni 70, decise di tornare in Giappone e di autoricoverarsi nella clinica psichiatrica dove ancora tutt’ora si trova. 

Nonostante sia in cura in un manicomio, Yayoi Kusama continua a lavorare nel suo studio ogni giorno dando vita a decine di opere. 

Oggi finalmente il suo nome ha il riconoscimento che si spetta e le sue opere sono riconosciute in tutto il mondo. Possiamo trovare le più iconiche al Moma di New York, al Tate di Londra e al museo di contemporary art a Tokyo.

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