“Di nuovo imparare a inventare storie”: il Gatto di Mario Desiati

“Di nuovo imparare a inventare storie”: il Gatto di Mario Desiati

Nell’anno del Premio Strega lo scrittore tarantino regala una novella per giovani adulti sulla forza della poesia.

Nella primavera del 1964 Pier Paolo Pasolini scelse Matera e altre località del Sud Italia per girare “Il Vangelo secondo Matteo”. Tra queste anche Massafra, un piccolo centro a ridosso di Taranto, dove ambientò la sua Cafarnao. Mario Desiati, che del tarantino è figlio, rimescola con ispirata e cinematografica scrittura le suggestioni che il poeta e regista di Casarsa affidò ai suoi reportage dell’epoca, dando vita a un romanzo che solo sulla carta è “per ragazzi”.

Sognando il Gatto di Mario Desiati

Ne vien fuori “Sognando il Gatto” (Ragazzi Mondadori, 2022), sognante novella poco più lunga di un centinaio di pagine, capace di conquistare non solo i più giovani, ma anche quegli adulti che giovani hanno bisogno di riscoprirsi, ritrovando la magia delle cose, perché in fondo “tutti i bambini sono poeti, ma poi crescono“. La “folla di bambini con profili di diamante” fotografati nelle gravine di Massafra dall’appassionato racconto di un Pasolini alla ricerca di “un Medioevo nascosto” prende così le sembianze di Cicalino, il protagonista del racconto di Desiati, di Spinetta, il suo eterno amore, di Pepe e Diavolo, compagni di sventure e avventure. Tutti bambini senza famiglia, costretti a rifugiarsi tra le rocce e le caverne del Cavone – il fiume ormai secco che attraversa Massafra “paese costruito nelle crepe della terra”. L’esistenza dei quattro bambini, si consuma in un Sud ancora ancestrale, mangiando fiori, raccogliendo mandorle dagli alberi e olive da terra, fino a quando la grande macchina del cinema non irrompe nel paese con il suo carico di magia. Tra macchinari ultra-moderni e le inevitabili proteste degli adulti, della troupe fa parte anche il Gatto, il solo adulto in grado di vedere il mondo con gli occhi di un bambino e trattare la combriccola dei piccoli mascalzoni senza nome come essere umani, come nessuno prima aveva fatto.

“Ghermisco le stelle con le zampe e suono la luna con le vibrisse“: Desiati lascia volutamente avvolta nel mistero l’identità del Gatto – che potrebbe benissimo essere lo stesso Pasolini, come ipotizzeranno Cicalino e Spinetta, o Alfondo Gatto, o Enzo Siciliano, o uno qualsiasi dei tanti intellettuali al seguito della produzione. Nitido invece è l’archetipo dell’intellettuale italiano anni Settanta, del poeta in grado di vedere al di là degli stereotipi, di riscoprire la magia delle cose. “Sono solo uno che cerca la poesia” “E che vuol dire?” “Che una parte di me vede ancora le cose come fanno i bambini”. Desiati celebra così, con una scrittura densa e cinematografica, capace di riconsegnarci un Sud fuori dal tempo eppure forse irrimediabilmente perso, tanto il centenario della nascita di Pasolini, quanto la sua terra. Soprattutto, celebra la forza della poesia, dell’immaginazione, delle storie, invitando il lettore – adulto o meno che sia – a “farsi Gatto, dirsi poeta e parlare di Dio ai bambini“.

Che è un modo come un altro per invitarci a non arrenderci alla modernità tecnologica e all’anestesia di un presente che ha perso l’ancestrale fascinazione per la magia del racconto. “Ce l’hai con me?” chiede un giorno Cicalino a Spinetta. “Si, perché ti sei arreso”, gli risponde lei. “Noi dobbiamo di nuovo imparare a inventare storie e farle diventare piene di immagini”. Cosa che a Desiati è riuscita benissimo.

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